2013 Riflessioni sulla sconfitta elettorale

Una sconfitta che non è solo elettorale

La sconfitta della lista Rivoluzione Civile è secca, senza appello e non è giustificata né dal voto utile né dall’oscurantismo mass-mediatico anche se questi due fattori hanno avuto un peso non secondario.

Dove le lotte sono state più forti e radicali (Val di Susa – Sardegna) il movimento 5 stelle ha spopolato.

I dati elettorali confermano la consistenza della destra berlusconiana, anche se perde milioni di voti. Rimane forte e radicato il PD anche se perde consensi ma certamente in misura modesta stente l’appoggio dato in modo incondizionato al Governo Monti. SEL diventa sempre più interno al PD e ciò è confermato dalla sua prossima adesione al Partito Socialista Europeo. Il centro (Monti-Casini-Fini) subisce anch’esso una sconfitta che è clamorosa dato che Monti, Presidente del Consiglio, era il capo di questa aggregazione.

Difficilmente ci sono le condizioni per formare un Governo, se non si limita la democrazia parlamentare, come è dimostrato dal comportamento del Presidente della Repubblica che punta ad un “governissimo” aldilà della formula che eventualmente ne sancirà la nascita. Pur sconfitti, i comunisti devono reagire, la crisi economica morde ed aggrava la condizione sociale, distrugge diritti, crea sfiducia e passività, indebolisce la Costituzione e mette in discussione lo Stato democratico.


Ci sono a fine maggio le elezioni amministrative e la città più importante dove si vota è Roma. Probabilmente a breve si tornerà a votare per la Camera ed il Senato della Repubblica.

La sconfitta ci obbliga ad una rigorosa verifica delle nostre scelte e del nostro modo di operare non solo di quest’ultimo periodo ma dell’ intera esperienza del PRC dalla sua costituzione. Alle elezioni dobbiamo essere in campo con proposte forti, grinta e combattività.

 

Quando siamo nati ci siamo chiamati Rifondazione Comunista, forse allora molti di noi non hanno valutato il significato di quella scelta.

Si rifonda una cosa che non esiste più, che è morta, che è scomparsa. Ma il comunismo era morto? Ma veramente la rivoluzione d’ottobre aveva perso ogni significato ed era stata un errore? Siamo stati arroganti e presuntuosi. Noi da tempo lungo non parliamo più di Marx ma di marxismi. Ma Marx nell’analisi dell’evoluzione dell’economia aveva previsto sia la finanziarizzazione sia la crisi. Abbiamo demonizzato il centralismo democratico sostituendolo con aree, correnti, fazioni nel nome di una democrazia mutuata su quella borghese. Abbiamo ascoltato le “sirene” del revisionismo organizzando persino un convegno sulle foibe. Ci siamo macerati a lungo sulla non-violenza quando il sistema diventava sempre più feroce e violento. La storia, l’esperienza, le lotte del movimento operaio, gli ideali (ideologia?) li abbiamo sostituiti con la tesi “qui ed ora” portando il partito a perdere capacità di attrazione ed a vedersi offuscati la propria radicalità e l’anticapitalismo. Le conseguenze: calano le adesioni al Prc, i giovani vanno per altre strade, sparisce la militanza, si attenua il senso di solidarietà e di appartenenza. Non siamo né credibili né ritenuti utili, una parte consistente di chi ci votava si è rifugiata nell’astensione, ha scelto 5 Stelle e persino il PD.

 

Siamo al punto che per le prossime elezioni di Roma per diversi compagni/e non è centrale la critica alla gestione della città, l’ avanzare proposte forti e di rottura (esproprio-stipendi e compensi…), ma la ricerca di alleanze per eleggere un consigliere; con questa logica alle elezioni regionali abbiamo presentato un solo candidato comunista nella lista Rivoluzione Civile. I nostri comportamenti nelle istituzioni, salvo qualche sussulto, sono sempre stati basati su defaticanti mediazioni (un atto di rottura importante fu quello del ’98 governo Prodi) e delle istituzioni non ce ne siamo serviti per una denuncia forte del sistema, per atti clamorosi. Siamo persino rimasti invischiati in finanziamenti poco trasparenti nel Lazio. Un partito comunista se vuole essere autonomo ed agire liberamente non può dipendere economicamente dal sistema. Invece avevamo costruito una struttura elefantiaca di cosiddetti funzionari politici, non di rivoluzionari di professione: una struttura burocratica funzionale alle correnti ma non alla lotta, al conflitto.

 

Si dice: “ma adesso ci sono le elezioni”, bisogna decidere, scegliere…ed è giusto.

Per me le elezioni non sono un fine ma un mezzo, una occasione per confrontare idee e proposte, di messa in discussione del sistema. Il problema che mi pongo è “qual’è la scelta che fa avanzare la coscienza anticapitalista? Che ridà ai comunisti un preciso profilo alternativo e rivoluzionario?”.

Questa spasmodica ricerca di un accordo col PD mi lascia basito. Negli ultimi mesi il PD ha forse cambiato pelle, programmi? A Roma sta aprendo a Monti o no? Mi pare tra l’altro che il PD escluda un accordo con noi, o sbaglio? Si dice: “ma tanto quelli che ci votano ed anche nostri iscritti, sceglieranno il voto utile”: quindi il PD per sconfiggere Alemanno, ma questa non può essere una giustificazione, bensì un altro elemento di riflessione.

Le elezioni sono momenti importanti della vita e della lotta politica per i comunisti ma non sono e non possono essere il fine di un Partito Comunista. La presenza nelle istituzioni è importante a condizione che non ci si limiti a gestire l’esistente o volenti o nolenti non si diventi un ingranaggio del sistema.

 

Ho letto i “documenti” in preparazione del Congresso che ritengo deludenti di fronte ad una sconfitta non solo del PRC ma della sinistra radicale e di alternativa, di fronte ad una crisi economica che poteva essere l’occasione per portare a fondo un attacco al sistema ed è invece il sistema che vince. Mi pare che siamo alla solita “ritualità” anche per le modalità di discussione. Si è già rimesso in moto il meccanismo perverso delle fazioni (correnti). Non ci si rende conto della necessità e dell’urgenza di indagare e capire le dimensioni e la profondità dei cambiamenti che si sono determinati nei sistemi di produzione, nella organizzazione della vita delle persone, nel modo di pensare ed agire. Ignoriamo il mondo, il nostro orizzonte si limita all’Europa. Ma poi quale partito? Diritti e doveri degli iscritti? Forme di organizzazione a fronte di cambiamenti così profondi dei sistemi di comunicazione, dell’organizzazione della vita delle persone (lavoro-orari-residenze etc.).

Nell’avviare il congresso si dovrebbe prendere atto che gli iscritti sulla carta sono circa 30.000, che un buon 30% è appeso ad un filo, cioè aderisce per consuetudine, per rapporti personali…che i militanti (cioè gli attivi) forse non superano il 15% degli iscritti. Ma poi ogni militante ha una sua cultura politica sempre più autonoma, matura opinioni ed i più non accettano il confronto per cui non si realizza mai una linea condivisa. Le stesse decisioni assunte dagli organismi vengono frequentemente rimesse in discussione indebolendole. Si verifica che decisioni assunte vengono cancellate senza discutere negli organismi dirigenti che l’avevano approvate, creando tensioni e recriminazioni.

Mi si dirà la tua è una critica distruttiva. Io credo che se non si ha il coraggio di fare un’operazione verità spietata e profonda sia difficile ricostruire.

 

  1. Si è determinata negli ultimi decenni una frantumazione dei corpi sociali che via via è divenuta più profonda ed estesa, in particolare il fenomeno si riscontra nel lavoro dipendente. Questo dato è reso evidente dall’entrata nel mercato del lavoro degli immigrati, la crescita esponenziale del precariato e delle partite IVA. Anche nel mondo del lavoro l’individualismo, la concorrenza, la frustrazione hanno prevalso su quello che in passato era la solidarietà di classe e che aveva i suoi punti forti nei contratti di lavoro, nelle lotte comuni tra occupati e disoccupati, tra Nord e Sud, tra città e campagna.

  2. La crisi economica per i più non ha ne padri ne madri ma questo concorre allo spostamento di ricchezze e poteri a favore del sistema finanziario e delle imprese, alla diminuzione dei vincoli contrattuali e sociali. Nel nome della crisi tutti devono fare sacrifici. Si accetta tutto: la legge sulle pensioni, l’abolizione dell’art. 18, i licenziamenti, la disoccupazione, il ridimensionamento della spesa sociale. Il comportamento dei sindacati, non parliamo del PD e di SEL contribuiscono pesantemente a far considerare ad una parte consistente dell’opinione pubblica, dei lavoratori dipendenti e del cosiddetto popolo della sinistra la crisi ineluttabile: ripeto senza padri ne madri. Occorre indagare a fondo questa questione per le conseguenze che ha per lo sviluppo delle lotte, per l’alternativa.

  3. Non è secondario poi cercare di capire che cosa sta provocando la fine dell’ideologia e degli ideali forti, la crescita esponenziale dell’individualismo e dell’egoismo. I comunisti sono stati presenti ed attivi in tutte le lotte, spesso ne sono stati gli animatori, ma non sono riusciti a far capire che la causa della chiusura di una fabbrica, della grande opera pubblica invasiva e dannosa, la “privatizzazione” della scuola e della sanità sono responsabilità del sistema capitalista, che ci vuole il socialismo. Ma la parola socialismo e comunismo come liberazione del lavoro e dell’uomo siamo anche noi reticenti a pronunciarle. Vi è poi un crescente malessere nella società (abilmente sfruttata) che porta a forme di contrasto fra occupati e disoccupati, tra giovani ed anziani, tra Nord e Sud, tra italiani e immigrati. Sta passando il messaggio che i troppi diritti (posti fisso-contratti-pensioni decenti) chiudono ogni prospettiva per i giovani ed impediscono la ripresa economica. Anche in questo caso le responsabilità delle imprese (e del sistema) rimangono in ombra.

  4. Nell’opinione pubblica è diffusa la tesi che i “partiti” rappresentino un cancro che consuma una enorme quantità di risorse economiche, che godono di privilegi illimitati, di impunità. Ruberie, scandali hanno investito parlamentari e consiglieri regionali. Questioni come i vitalizi, i portaborse, i compensi e rimborsi, il finanziamento pubblico sono state strumentalizzate ed amplificate, ma sono reali. Lo scandalo che ha investito il Monte dei Paschi ha reso evidente l’invasiva presenza di alcuni partiti politici, in primo luogo il PD, nel sistema bancario e nelle aziende a gestione pubblica. Quest’insieme di fatti hanno portato a due conseguenze:

  • Sono tutti uguali, rubano impuniti, pensano solo ai loro privilegi, sono una casta dannosa per
    l’economia e la politica; vanno cacciati ed i partiti eliminati.

  • La riduzione degli organismi elettivi: meno parlamentari, meno consiglieri regionali e comunali,. Più poteri al Presidente del Consiglio, della Regione, al Sindaco: largo ai tecnici.
    Quindi una legge elettorale che garantisca la governabilità a prescindere, che porti al bipartitismo, che liberi le istituzioni da minoranze che mettono in discussione il sistema. È un miracolo che la nostra Costituzione regga ancora anche se si allarga il fronte di chi vuole modificarla in senso autoritario e più funzionale al sistema.

  1. Quando si parla di privilegi della “casta” tutti si limitano agli eletti in Parlamento e nella regione.

Si ignorano invece i manager di Stato e quelli pubblici, il sistema finanziario, il gioco dei dividendi e gli incentivi alle imprese: si salva solo il sistema. Anche il PRC, purtroppo una proposta precisa per fissare un minimo ed un massimo di stipendio e di pensione non l’ha avanzata, è stata accennata solo per le pensioni. Come pure non abbiamo affrontato gli emolumenti, i privilegi, i vitalizi dei parlamentari e consiglieri regionali in quanto si poteva con una denuncia forte “indebolire le istituzioni” ed isolarci dagli altri partiti. Del resto non siamo riusciti (non abbiamo voluto) a stabilire un trattamento uguale per tutti i compagni/e eletti nelle istituzioni, i giornalisti di Liberazione, funzionari di partito. Penso se Bertinotti avesse sollevato lo scandalo dei privilegi dei Presidenti della Camera e del Senato? O se i consiglieri regionali,a fronte di assegnazioni di somme così consistenti, ne avessero fatto uno scandalo? È vero che gli eletti nelle istituzioni versavano quote al partito ma non è valida giustificazione per tollerare privilegi e veri e propri abusi. Ci siamo comportati come gli altri partiti e come gli altri partiti siamo ancora percepiti. Non penso si debba copiare Grillo ma su alcune questioni dovremmo essere più radicali. Rivendicare che il Comune di Roma e le sue aziende non corrispondono stipendi, compensi, emolumenti a qualsiasi titolo superiori a 5.000 €uro al mese sarebbe o no una proposta forte o ancora chiedere che si utilizzi l’esproprio per piegare quanti impediscono l’uso delle risorse a favore dei cittadini, ad esempio le abitazioni. So bene che non pochi compagni/e direbbero: “ma non è possibile, è demagogia”.

Si è generalizzata la sfiducia nel sistema partitico ed è stata trasformata in protesta da un comico che urla “mandateli a casa, riprendetevi tutto!”. In situazioni di crisi (primi anni ’90) Berlusconi rappresentò il nuovo, la speranza: oggi è Grillo. Ricordo per memoria che fenomeni ovviamente non paragonabili a quelli odierni. Sono stati Hitler e Mussolini che ebbero un sostegno di massa e plebiscitario.

  1. Il movimento del 1968 fu guardato con sospetto dal PCI, poi capito ma mai assunto fino in fondo. Successivamente il terrorismo (spontaneo-parte di un disegno-manovrato) determinò una emergenza democratica. In quella stagione ci furono grandi conquiste: il diritto allo studio, il divorzio, lo statuto dei lavoratori, la riforma delle pensioni e quella sanitaria, il contratto di lavoro (aumenti salariali uguali per tutti, meno ore di lavoro e meno straordinari, più democrazia nei luoghi di lavoro, difesa della salute): ma non si creò la rottura dal sistema. Anche la questione morale (centrali le figure di Craxi e Berlinguer) non divennero questioni di massa, anzi in un qualche modo “sostituì” il conflitto di classe e divenne patrimonio della magistratura che azzerò, con mani pulite, il PSI e la DC e molte ombre calarono anche sul PCI. Non dimentichiamo che il mondo era diviso in due blocchi (guerra fredda) e questa divisione è continuata fino al crollo del muro di Berlino e la fine dei sistemi del cosiddetto socialismo reale. Quel crollo è stato sottovalutato dai comunisti italiani per le conseguenze che avrebbe avuto sulle lotte future del movimento operaio, sull’ideale socialista e comunista. I dirigenti del PCI pur avendo agito con una certa autonomia da quel blocco, averne criticato atti e comportamenti, sciolsero il PCI. Iniziò un processo che ha portato ad un partito, il PD, che non mette in discussione il sistema, che subordina il tutto al mantenimento dello status quo: cioè del sistema di produzione capitalistico, dello sfruttamento. Siamo ben oltre, ed in negativo, al laburismo e alla socialdemocrazia. Il Prc sin dalla sua costituzione ha avuto una vita travagliata(scissioni), vi sono confluite nel tempo esperienze politiche diverse, ha compiuto un percorso accidentato, segnato da tentativi come l’internità ai movimenti ma purtroppo ondivago e via via sempre più contrastato dal PD. Il PRC, contemporaneamente, ha preso in modo affrettato e poco meditato le distanze dall’esperienza nata con la rivoluzione d’ottobre e la sconfitta del nazi-fascismo. Si è fatto portavoce di una critica tranciante e sommaria dell’esperienza dei paesi del socialismo reale. La preoccupazione di prendere le distanze dal socialismo reale hanno portato il PRC ad indebolire un ideale forte come il socialismo ed il comunismo.

  2. La travagliata esperienza dei due governi Prodi sono la testimonianza che i poteri forti non cedono, non accettano le regole della democrazia, si blindano con sistemi elettorali ed il controllo dell’informazione, l’intervento degli apparati dello stato, la corruzione a cui si aggiungono il ruolo dei servizi segreti e degli accordi internazionali noti e meno noti. A mio parere, tra i poteri forti, c’è anche il Vaticano. Nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche siamo stati timidi. La Chiesa di Roma interviene pesantemente sulle nostre istituzioni, riceve cospicui finanziamenti dallo Stato, gode di enormi privilegi, controlla gran parte del volontariato, è presente nella scuola pubblica ed organizza la scuola privata cattolica, possiede ricchezze enormi e schiera sul suolo italiano più di 100.000 fra sacerdoti, suore e frati. Certo non è l’Islam, che detta le leggi agli Stati. Il Vaticano fa barriera contro i diritti civili. Prende posizione su questioni di competenza del Parlamento. Anche le critiche e le denuncie che fa dei mali della società non mettono in discussione il sistema, non indica i responsabili ma sono finalizzate al massimo ad attivare forme di solidarietà, ad addormentare la gente. Come partito non abbiamo avuto il coraggio di chiedere l’abolizione dell’8 x 1.000, non dico il Concordato. Sulla religione e sullo stato del Vaticano qualche cosa di più va certamente fatto.

  3. I movimenti, che nell’ultimo decennio sono stati forti ma discontinui, che hanno visto il PRC ed i nostri compagni protagonisti hanno assunto come elemento di fondo la critica ai partiti, tutti. Anche noi spesso abbiamo ceduto, rinunciando persino alle bandiere nelle manifestazioni, in ogni caso non siamo diventati egemoni. Questi movimenti si sono affievoliti e spenti ed i nemici sono diventati più che il Governo Monti i partiti, noi compreso. L’egemonia è una delle questioni su cui riflettere rispetto all’internità ai movimenti, al rapporto lotte-sbocco istituzionale. Rifondazione Comunista nel tempo, è diventato un partito d’opinione, pur continuando a predicare il partito di massa, di fatto il Prc non è né di massa, né di quadri: meno iscritti, meno militanti, scarso senso di appartenenza, senza una teoria, un’ideologia minata dalle correnti in lotta per posti di direzione e presenze nelle liste elettorali. Pesante è il turnover degli iscritti. S’è confusa la democrazia con “tutto è permesso”. Si continua con riti defaticanti, che rendono difficile la partecipazione ed il coinvolgimento, si stanno allontanando i giovani e le donne. Gli ultimi risultati elettorali, ma anche quelli degli anni precedenti, sono la riprova di una crisi che viene da lontano a cui non si può rispondere con qualche aggiustamento. La questione di fondo non sono le alleanze, la tattica. Il tema da affrontare è il “comunismo oggi”.

  4. Siamo provinciali, ci siamo dimenticati del mondo. Che cosa sappiamo “veramente” di potenze come la Cina e l’India: che significa che una quantità enorme del debito americano è coperto dalla Cina? Il comunismo cinese, anche da noi demonizzato, è una risposta sul piano sociale, dell’economia (poteri) positiva o negativa? Quali cambiamenti sono in atto nel pianeta Russia? L’Africa, i paesi che si affacciano nel Mediterraneo come evolvono o arretrano sul piano sociale e su quello democratico? Il Sud-America, vi è o no una evoluzione positiva sul piano sociale ma anche economico resa possibile come in Venezuela dalle nazionalizzazioni del petrolio? Quale valore ha l’affrancamento crescente degli stati sudamericani dagli USA? E l’Europa? Ad esempio cosa sappiamo di fenomeni come quello di Grillo o dei pirati? O della crescita diffusa di formazioni che si richiamano al nazismo o al fascismo? Altra questione. La crescente influenza in termini di espansione territoriale e delle regole di vita dell’Islam (non mi riferisco all’Iran) ma più in generale sono un arretramento sul terreno delle libertà e dei diritti acquisiti? Ma ancora: il Vaticano e la chiesa cattolica hanno o no una crescente influenza? Ma poi che cosa sappiamo dei comunisti presenti ed attivi nel mondo? Di forze di aggregazione alternative al capitalismo? Poco o niente. Rispetto ad un mondo sempre più globalizzato i comunisti sono (almeno in Italia) chiusi in un recinto autoreferenziale. So bene le profonde differenze che esistono fra i 63 (mi pare) formazioni comuniste attive in Italia, ma veramente a fronte dell’ultimo risultato elettorale alla nostra crisi un tentativo per provare a parlarci può essere fatto o no? Credo dobbiamo provare a ragionare almeno sui cambiamenti, non solo economici, degli ultimi decenni ed in particolare dal momento della caduta del muro di Berlino. Avendo i piedi ben piantati per terra, ma anche una solida capacità critica. Guardare da un lato il mondo nella sua vastità e diversità e dall’altro l’ ultimo degli ultimi della scala sociale: non limitarci al qui ed ora ma illuminare le lotte con idealità forti. Ripensare, senza fissità, pigrizia come un partito comunista possa organizzare la propria vita interna e come dotarsi di strumenti efficaci di predicazione e di lotta.
    Un altro punto politico è come si costituisce la sinistra di alternativa: diversi pensano che si dovrebbe sciogliere Rifondazione. Personalmente ritengo che più forte è il nostro partito, la sua autonomia politica, culturale, organizzativa, più facile è costruire l’alternativa che non può essere basata su mediazioni al ribasso, su contrattazioni defaticanti in particolare ai momenti elettorali. È questo un obbiettivo per noi prioritario ma guai a rinunciare a diventarne egemoni.

 

 

Ci sarebbero molte altre questioni per cercare di definire il profilo ideale e politico e le modalità organizzative di un partito comunista nella realtà contemporanea, ritengo purtuttavia che alcune siano essenziali:

  1. L’orizzonte ideale (ideologico) ed il fine.

  2. La coerenza negli atti che si compiono e nel comportamento dei suoi militanti.

  3. Le istituzioni (fine o mezzo) come strumenti di lotta.

  4. L’egemonia (internità) nei movimenti e nelle lotte.

  5. Il qui ed ora e l’obbiettivo della rottura del/dal sistema.

  6. L’internazionalismo, e quindi, il collegamento con i comunisti presenti ovunque nel mondo.

  7. Quale partito? Anche il partito non è un fine ma un mezzo per cui centrale diventa l’orizzonte.

 

 

Sono alcune mie personalissime riflessioni che proverò a portare nel dibattito congressuale. 

 

Data documento: 
Martedì, 19 Marzo 2013