2012 Memoria sugli anni ’70

Gli anni ’70, con la loro carica ideologica, radicale, ribelle anche se segnata dalla violenza non possono cadere nell’oblio.

Quel movimento riproponeva le ragioni della classe operaia, aveva una carica innovativa, rivoluzionaria. Quel movimento fu guardato dal PCI con sospetto, anzi fu combattuto. Quel movimento degenerò in lotta armata.

Credo che anche la teoria degli opposti estremismi andrebbe rivista, penso che le Brigate Rosse ed i Nar siano state formazioni con fini diversi e modi di agire differenti: gli uni si richiamavano alla classe operaia e colpivano i simboli del potere, gli altri si richiamavano al fascismo ed organizzavano le stragi. Insieme contribuivano alla destabilizzazione dello Stato. Ma questo è ancora un terreno minato.

Per anni il clima in Italia è rimasto teso: gli scontri quotidiani, gli atti di violenza continui, le aggressioni e gli attentati feroci: i numerosi morti. In quegli scontri giocavano sporco i servizi segreti ed anche i poteri forti.

Nei quartieri della II Circoscrizione (oggi II Municipio) si susseguivano gli scontri che si traducevano spesso in atti violenti di gruppi o singoli.

Posso testimoniare, quale protagonista di questa realtà, che il PCI di via Tigrè e di Piazza Vescovio portarono avanti un’azione molto ferma nei confronti della violenza fascista. Altre sezioni (via Sebino, Via Alessandria, Via Scarlatti, Villaggio Olimpico, Via Massacciuccoli) stavano alla finestra e la Federazione romana ci invitava a “lasciar perdere” e a non cadere nelle provocazioni.

Riuscimmo a tenere aperti gli spazi di democrazia, la possibilità di far politica. Rileggendo la documentazione di quegli anni appare chiaro che si seguì una linea precisa:

  • Un’intensa propaganda sui valori della Costituzione e la sua origine antifascista

  • Una forte iniziativa internazionalista per la pace, il Vietnam, contro i colonnelli greci

  • Sedi aperte e, se attaccate, difese

  • Affissione dei manifesti e diffusione dei volantini anche a rischio di provocazioni

  • Non si rinunciò ad organizzare la Festa de l’Unità che, per la prima volta nel 1969, fu realizzata a Piazza S. Emerenziana

  • Intensificazione delle iniziative legate alla quotidianità: mercati, aule scolastiche, verde. E’ di quegli anni lo sgombero di 700 famiglie dalla baraccopoli sulla sponda dell’Aniene che portammo ad occupare case per mezza Roma

  • 250 copie de l’Unità diffuse per strada, ai semafori la domenica e con punte di 1.000 copie per il I Maggio ed il 25 aprile

  • Gli iscritti si triplicarono fino a raggiungere i 600 di cui 99 erano giovani

Lo scontro più lungo e difficile si consumò al Liceo Giulio Cesare. Fu riconquistato alla Democrazia, liberato dalla violenza fascista, fu riportata l’agibilità politica. Furono anni di iniziative, di propaganda, di presidi, di scontri di lotta degli studenti e degli insegnanti. Molti furono i feriti. Il PCI di via Tigrè, gli Scout, l’Agesi, alcuni sindacalisti ed insegnanti sostennero e vinsero questa battaglia, mentre la polizia rimaneva equidistante. I fascisti Izzo e Ghira (i mostri del Circeo), ed altri che finirono poi nei NAR, stazionavano permanentemente minacciosi davanti al Giulio Cesare.

In quegli anni si consumarono azioni gravi, in particolare contro la sezione del PCI di via Tigrè, assaltata 3 volte con spari ad altezza d’uomo. I fascisti tentarono più volte di incendiarla e vi misero una bomba facendola saltare. Non elencherò gli episodi minori che si consumarono per mesi, quando il MSI aprì un locale a Piazza Sedia del Diavolo. Gran parte dei fatti sono documentati in un opuscolo pubblicato da un vasto arco di forze politiche, dal mensile della sezione del PCI Nomentano, nelle cronache dei quotidiani romani e nazionali.

In più di dieci anni non ci fu mai una denuncia contro la sezione del PCI di via Tigrè, contro i suoi dirigenti ed i militanti per atti violenti o aggressioni, invece furono più di 100 le denuncie presentate contro i fascisti, alcune delle quali non furono insabbiate e non caddero in prescrizione e vi furono condanne.

La quasi totalità di quelle denuncie fu firmata dal sottoscritto e questo forse è stato anche uno dei motivi per cui sono stato oggetto delle attenzioni dei figli politici e naturali di quei fascisti per lunghi anni.

Con la morte di due giovani fascisti (Francesco Cecchin e Paolo di Nella) si intensificarono le provocazioni contro il PCI di ieri e, dopo, contro Rifondazione Comunista ed il sottoscritto, soprattutto in prossimità degli anniversari delle morti, quando a Piazza Vescovio ed a Viale Libia vengono organizzate manifestazioni con picchetti fascisti, saluti romani e slogan vari, naturalmente protetti dalla polizia.

La dinamica dei fatti che portarono alla morte di Cecchin e di Di Nella non sono mai risultati chiari e non si sono individuati i colpevoli. Cecchin muore dopo diversi giorni di coma cadendo  da un muretto nei pressi di Piazza Vescovio, rincorso, si sostiene, da ignoti. I fascisti ne approfittano ed incolpano i comunisti ed in particolare il sottoscritto che purtroppo quel giorno ebbe un battibecco con il ragazzo nel bar di piazza Vescovio per una questione di affissione dei manifesti. Il sottoscritto viene additato come assassino e le scritte Moretti assassino si possono leggere su tutti i muri non solo del quartiere Nomentano, ma di Roma, del Lazio e persino in altre parti d’Italia. I fascisti sostengono che le indagini furono superficiali, diversi gradi del processo si conclusero con l’assoluzione con formula piena di un unico imputato, tale Stefano Marozza, non iscritto al PCI. Le indagini non coinvolsero altri militanti del PCI. Io finisco nella lista dei condannati a morte dei Nar e sono costretto, anche su suggerimento del PCI, ad entrare in clandestinità e a lasciare la casa di Roma e l’attività nella sezione di Via Tigrè. Seguiranno anni in cui continuerò ad impegnarmi nell’attività sindacale svolgendo il ruolo di V/Presidente dell’Inca Nazionale, ma l’attività politica sarò costretto ad interromperla, fino allo scioglimento del PCI, quando decidemmo di dar vita a Rifondazione Comunista. Allora mi riapproprierò della mia sezione e con alcuni compagni che hanno resistito allo scioglimento del PCI la farò diventare la sezione di Rifondazione Comunista.

Su questo episodio si è esercitata la penna di Luca Telese che ricostruisce la storia di 21 morti di destra per “liberarli” dall’oblio imposto dalle sinistre e per proporre di “dimenticare” quegli anni per una conciliazione generale. Basterebbe , per valutare la serietà della ricostruzione dell’episodio Cecchin, non so di altri, quanto Telese scrive: “Sante Moretti, 46 anni, ex pugile, attivista instancabile del PCI…” Ma io non sono mai salito su un ring, non sono mai entrato in una palestra. Telese e questo non fa onore alla sua qualità di giornalista, ha soltanto copiato la notizia dal sito fascista ed ha pubblicato addirittura interviste che non ho mai rilasciato. Eppure lui mi conosceva bene, dato che quando nacque Rifondazione Comunista eravamo nello stesso partito e la nostra sezione lo contattava per l’acquisto di bandiere e magliette con il logo del partito, visto che la sua attività era allora quella di stampare magliette. Probabilmente lo scrivere lo ha aiutato nella sua carriera giornalistica tant’è che oggi è uno dei più famosi conduttori televisivi.

Un episodio teso alla cancellazione dei fatti degli anni ’70 ed alla riconciliazione si riferisce a Valter Veltroni, il nostro “amato” ex sindaco che ha voluto intestare una via nel quartiere Nomentano a Paolo Di Nella. Quasi un’assoluzione alle violenze connesse nel nome di Di Nella, negli anni un viatico a continuare. Dopo l’intestazione a Di Nella le provocazioni nei confronti di Rifondazione Comunista sono continuate e le scritte nel quartiere “PAOLO VIVE” sono diventate centinaia. Nel giorno dell’anniversario il 9 febbraio tutti gli anni a Viale Libia si celebra il ricordo con picchetti fascisti e saluti romani e vi partecipano le istituzioni di destra del Municipio e del Comune di Roma. In questa occasione si sono ripetuti negli anni fino a poco tempo fa anche le scritte sui muri, persino di fronte a casa mia, contro di me “Moretti assassino – Sante Moretti boia – Moretti porco”, anche se ai tempi della morte di Di Nella io ero in clandestinità e fuori Roma, ricercato dai Nar che mi avevano condannato a morte per i fatti di Cecchin.

La mia lunga esperienza mi porta ad affermare che ai fascisti non si può mai cedere, non si può laciare alcuno spazio, non ci possono essere compromessi. La cultura fascista si è inserita in parte della società, conquista troppi giovani e si esprime non solo con il teppismo e la violenza politica, ma nell’odio e nei comportamenti verso il diverso, l’immigrato, le donne, il debole. Si esprime nell’esaltare la guerra, il militarismo, la forza, il patriottismo.

Come ai tempi del PCI nel quartiere Nomentano Rifondazione Comunista non ha arretrato e non si è rintanata con i militanti nella propria sede, ma si è continuato a far politica. Nemmeno con atti violenti i fascisti sono riusciti a far chiudere la sede di Rifondazione e non hanno impedito di organizzare la Festa di Liberazione al Parco Nemorense. Sono stati denunciati gli atti di violenza e di teppismo ed in alcuni casi si è riuscito a far condannare i responsabili, come il già presidente del II Municipio e poi consigliere provinciale  che, condananto, ha dovuto risarcirmi per aver diffamato pubblicamente con volantini la mia persona.

Oggi, come ieri, i fascisti che gran parte si sono riciclati nel Popolo delle Libertà sono pericolosi per il senso di appartenenza, per il culto di coloro che ritengono martiri, per l’odio per la Democrazia per gli antifascisti e quindi per i comunisti.

Sante Moretti

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Mercoledì, 5 Settembre 2012
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