2010 - Sulla manovra economica
(articolo per Liberazione)
Liberazione è l’unico quotidiano che ha messo a nudo la natura classista della manovra, ne ha contestato la “validità” economica e denunciato puntigliosamente il prezzo che pagheranno i lavoratori e le famiglie in termini economici e di diritti.
E’ l’unico quotidiano che ha stigmatizzato l’indecente campagna contro gli invalidi civili scatenata nei confronti di uomini e donne in carne ed ossa non autosufficienti e sofferenti, ad esseri umani non poche volte menomati fin dalla nascita come i portatori di handicap, i non vedenti, i sordomuti o quanti sono colpiti nel corso della vita da gravi malattie o eventi traumatici. Amaramente va riconosciuto che una “azione” così odiosa ed incivile non ha suscitato sufficiente sdegno e rivolta morale, indice di un arretramento della società.
Si è registrato una sorta di ping-pong su singoli provvedimenti previsti dalla manovra giocato con emendamenti presentati da parlamentari della destra poi smentiti e da ministri e da portavoce del Governo sia sull’età pensionabile, sia sulla tredicesima, sia sulle inabilità. Sostengono che si sarebbe trattato di refusi o pasticci (stranamente supportati da puntuali relazioni tecniche), ma il vero e solo scopo era quello di saggiare le reazioni e distogliere l’opinione pubblica su quanto prevede la manovra e sulla sua natura classista ed ideologica.
Gli interventi sulle pensioni sono privi di qualsiasi motivazione, persino economica. L’Inps è in attivo e, stima dell’Istituto, concorrerà al bilancio dello Stato con almeno 4 miliardi l’anno per il prossimo decennio.
Non esiste nessuno stato al mondo che finanzi il suo bilancio con i contributi versati per la pensione: solo il fascismo utilizzò gli importi delle “marche” versate per la pensione allo scopo di finanziare le guerre.
E’ doveroso denunciare che con la contribuzione del lavoro dipendente privato , dei lavoratori precari, delle prestazioni temporanee viene coperto il deficit annuo di 9 miliardi dei fondi-pensione dei lavoratori autonomi (artigiani-coltivatori-commercianti), di 3,4 miliardi del fondo dirigenti di azienda e di 112 milioni del fondo clero. In merito poi all’età per il diritto alla pensione e al rapporto pensioni-PIL siamo allineati agli altri paesi europei mentre invece gli importi delle pensioni italiane sono inferiori e su di esse grava un pesante prelievo fiscale sconosciuto negli altri paesi europei.
E’ stato ed è gioco facile per la destra inasprire norme in materia pensionistica in quante quelle norme sono state definite con le confederazioni sindacali. Sono norme che hanno indebolito il sistema pensionistico pubblico con il passaggio dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo, l’eliminazione del minimo di pensione, il superamento delle pensioni di anzianità, i fondi pensione, l’aumento dell’età per il diritto alla pensione. Ultimamente è stato siglato dalle confederazioni sindacali un micidiale regolamento che porta, ed in modo automatico, ad aumentare ulteriormente l’età per la pensione ed a peggiorare i coefficienti per il calcolo con conseguente drastica riduzione degli importi.
Il sindacato si è scandalizzato e giustamente del tentativo del Governo di dare “forza di legge” a quel regolamento ma si è ben guardato dal chiederne la cancellazione.
Sul Corriere della Sera nelle scorse settimane si è consumato un dibattito in cui tutti gli attori hanno sostenuto che occorre meno Stato e più mercato nel sistema di protezione sociale, con un particolare riferimento alla Sanità.
Il Ministro del lavoro sintetizza sul Corriere della Sera il suo pensiero:
“[…] Meno Stato significa meno regole, meno strutture, meno spesa pubblica, meno intermediazione politico-istituzionale. Più società significa, in conseguenza, più mercato, più sussidiarietà, più spesa privata per il bene comune, più responsabilità degli attori sociali e comunitari, famiglia inclusa. […]”
E’ una scelta ideologica perseguita con determinazione da questo Governo e condivisa da numerosi esponenti dell’opposizione e favorita dalle confederazioni sindacali.
Anche per la sanità la proposta magica è ‘più mercato’. Non solo convenzioni con laboratori e cliniche, ma interventi diretti cioè garantiti da polizze assicurative ed accordi sindacali per le prestazioni specialistiche, la prevenzione e la riabilitazione ed interventi in caso di gravi patologie e di cure particolarmente costose.
Sostengono che la famiglia ed i singoli sono deresponsabilizzati e non si preoccupano di proteggersi in quanto le prestazioni sanitarie in vigore sono di buon livello.
Ciò porterebbe a non utilizzare il risparmio per la salute. Il dato che meno del 5% finisca in polizze assicurative per la sanità e le pensioni è considerato insopportabile per i mercati finanziari ed un freno allo sviluppo della imprenditorialità in campo sanitario.
Il privato singolo o anche associato non avrebbe spazio per operare direttamente ma solo in regime di convenzione sempre nell’ambito del Sistema sanitario. Ancora, i diritti universali di ottocentesca memoria, retaggio di concezioni socialiste, comuniste, stataliste, che deresponsabilizzano il singolo e la famiglia e rendono “burocratiche” le prestazioni sanitarie ed assistenziali, frenano il volontariato e non permettono lo sviluppo di un privato sociale. Si consiglia ai nonni ed ai genitori di “donare” una polizza assicurativa sulla vita al nipote ed al figlio che nasce per garantirlo dalla malattia e da eventi traumatici.
Ricordiamo che far avanzare la previdenza integrativa non si sta solo ridimensionando il sistema pensionistico pubblico ma con il sistema contributivo e l’eliminazione del minimo lo si rende individuale e si indebolisce la solidarietà. Per far avanzare la sanità integrativa vogliono diminuire le prestazioni gratuite, cedere sovranità ai privati, cancellare la natura universalistica del sistema sanitario. Non si deve avere gli stessi diritti nemmeno di fronte alla malattia.
Purtroppo, invece di contrastare questa politica nel nome della modernità, si stanno stipulando accordi sindacali per integrare prestazioni sanitarie non solo aziendali ma persino in alcuni contratti nazionali.
Si sostiene, ed è vero, che già numerosi italiani si pagano le visite specialistiche, gli accertamenti diagnostici ed in alcuni casi i ricoveri.
Ma perché si dovrebbe rinunciare alla specialistica ed alla diagnostica in quanto non possono pagarsela?
Ma veramente vogliamo importare in Italia quel “sistema americano” che cura solo chi è benestante e che il Presidente degli USA cerca di cambiare?
Non si tratta di mettere in condizione di curarsi quanti possono “investire in polizze assicurative” od essere tutelati da accordi sindacali ma di garantire adeguati livelli sanitari per tutti.
L’esperienza di questi anni per quanto attiene le pensioni è la prova provata che ogni cedimento sui diritti costituzionali e le conquiste apre la strada ad interventi che ridimensionano non solo la prestazione ma restringono il diritto. E’ dal 1992 che il sistema pensionistico è una sorta di cantiere aperto ed attivo che indebolisce il sistema pubblico.
Vogliono aprire, prendendo a pretesto il deficit della sanità nel Lazio e nelle regioni del Sud, un cantiere per demolire la Sanità Pubblica.
Sante Moretti