1984 - Articolo per Rassegna Sindacale
Pensioni al minimo - 1984
CON 320.000 LIRE DEVONO VIVERE E MORIRE!
Dal 1 gennaio 1984 la pensione minima ha raggiunto, per i lavoratori dipendenti assicurati all'Inps, 320.000 lire mensili. Gli interessati sono 5.313.000
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Dei minimi di pensione, dell'esigenza di aumentarli, si parla da anni. Proposte, più o meno, estemporanee o demagogiche si sprecano durante le campagne elettorali. E' questo, comunque, un problema serio, umano e sociale che va affrontato. Tra i pensionati al minimo il malcontento e la sfiducia sono crescenti, lo sanno bene i dirigenti sindacali, politici e quanti (operatori sociali, sanitari, ecc.) a contatto con gli anziani.
L'argomento che si porta, per giustificare il mancato aumento dei minimi, è lo stato della finanza pubblica ed il deficit dell'Inps. Si potrebbe obiettare che i mezzi per la fiscalizzazione degli oneri sociali si trovano, che l'evasione dei contributi previdenziali supera i 100.000 miliardi annui, che si finanziano i privilegi e le prepotenze di certi gruppi corporativi, che si prepensionano a 50 anni i siderurgici ed altro ancora. Aumentare i minimi costa. Infatti ogni aumento di 1.000 lire mensili del minimo equivale a 40 miliardi, 100.000 lire mensili assommano a 4.000 miliardi annui. Ma poi, se si aumenta il minimo di pensione per i lavoratori dipendenti, perchè dovrebbe rimanere a 267.800 lire quello dei coltivatori diretti, artigiani e commercianti e si sa che non pochi coltivatori diretti hanno condizioni non certo floride. Ancora sarebbe tollerabile la pensione sociale a 187.345 lire mensili?
La responsabilità delle pensioni al minimo
Tra l'entità della pensione al minimo ed i contributi versati non c'è corrispondenza. I contributi darebbero infatti diritto ad una pensione ancor più bassa, la differenza viene integrata quasi esclusivament4e dall'Inps, cioè dai versamenti dei lavoratori dipendenti.
Questa integrazione, che per i soli lavoratori dipendenti sfiora i 10.000 miliardi annui, è assistenza. Dovrebbe, perciò, essere a carico dello Stato e della collettività.
Responsabili delle pensioni al minimo non sono certamente gli interessati, giova altresì ricordare che anche in questi ultimi anni, tra i nuovi pensionati, quelli al minimo sono tanti e tanti lo saranno negli anni a ve ire. La pensione al minimo è infatti la conseguenza di un periodo troppo breve di lavoro, meno di 15 anni e della qualità del salario percepito e in Italia la disoccupazione, il lavoro stagionale, il sottosalario, il lavoro nero sono mali cronici. Non va inoltre dimenticata l'evasione contributiva da parte dei padroni. Va poi considerato, ad esempio, che ai braccianti la contribuzione figurativa, per i periodi di disoccupazione, è stata riconosciuta solo dal 1957. Infine, tutti coloro che hanno servito la "patria" durante la guerra, non hanno riconosciuto, agli effetti pensionistici, quel periodo. Il PCI, i sindacati dei pensionati ne hanno chiesto la sanatoria proponendo un "una tantum" di L. 30.000 mensili. E' bene ripetere che la responsabilità per la mancata o insufficiente contribuzione, quindi per la misera pensione, non può essere addebitata ai pensionati al minimo, sempre a questi ex lavoratori andrebbe riconosciuta una "sanatoria" per i soprusi subiti.
Il diritto all'integrazione
La legge 638, art. 6, del novembre '83, ex decreto n. 463, come è noto, limita il diritto all'integrazione al minimo per coloro che hanno un reddito superiore a due volte il trattamento minimo e lo fa ritenendo l'integrazione assistenza.
Si può essere d'accordo o meno con questo provvedimento, ne prendiamo atto e consideriamo l'assistenza come logica conseguenza dell'integrazione.
Se così è, pare ovvio che l'integrazione dovrebbe essere a carico dello Stato, quindi della collettività e non dell'Inps, non solo, diventa sempre più urgente dividere l'assistenza dalla previdenza e il varo di una legge quadro per l'assistenza.
Una proposta per l'aumento dei minimi
Se, come pare, un aumento significativo dei minimi è difficile ottenerlo, stante la situazione economica del Paese, si potrebbe proporre per i pensionati al minimo privi di altri redditi un assegno integrativo. Quando parliamo di reddito ci riferiamo a quello individuale, in quanto non ci pare giusto prendere a base il reddito familiare. Infatti il pensionato deve essere libero - ed oggi per ragioni economiche non lo è - di scegliere come, dove e con chi vivere.
Si potrebbe, perciò, lavorare attorno all'ipotesi di un "assegno sociale integrativo" commisurato al reddito del pensionato.
La questione dei minimi va affrontata nel quadro del riordino pensionistico e non può essere rinviata, come qualcuno consiglia, alla futura legge sull'assistenza, semmai in quella sede recepita e migliorata.
Il Ministero del Lavoro pare che finalmente, dopo tanti rinvii, presenti a giorni una proposta di riordino pensionistico. Ci auguriamo che la proposta guardi avanti, al 2000. Contemporaneamente stabilisca diritti e doveri uguali per tutti, salvaguardi il carattere pubblico e solidaristico del sistema, affronti il problema della perequazione delle pensioni e dei minimi, liberi la previdenza dall'assistenza, avvii il risanamento dell'Inps.