1971 Nota sulla Puglia
1971 – Nota sulla Puglia (data presunta 30 luglio 1971)
Le osservazioni che seguono si riferiscono in particolare alla provincia di Bari, provincia in cui sono stato presente dal 22 giugno al 21luglio 1971.
La lotta dei braccianti e dei coloni si è svolta in un momento particolarmente difficile, cioè in un clima politico negativo. Pesante l'attacco ai sindacati, agli scioperi, alle agitazioni. Atti involutivi a livello di governo sui problemi delle riforme. Allarmismo sulla situazione economica: calo produzione ed investimenti. Tensione tra le forze politiche al governo, quindi senso di instabilità. Ripresa dell'iniziativa, oltre che dalle destre economiche, anche dalle forze politiche di destra che si sentono imbaldanzite dal voto massimo del 13 giugno (elezioni amministrative al centro/Sud in cui si registrò una flessione del PCI e un'affermazione della destra).
L'aver deciso, comunque, di muovere braccianti pugliesi – ha detto qualcuno – è stato un atto di coraggio, altri di incoscienza. Io credo fosse una necessità. Infatti la lotta ha avuto un carattere politico e per questo ha assunto dimensioni così ampie.
La piattaforma contrattuale presentata alla controparte era estremamente avanzata, anche se presentava approssimazioni in ordine ad alcuni problemi: qualifiche, occupazione. Contemporaneamente era velleitaria ad esempio in ordine all'orario di lavoro, al percorso, ecc. La scarsa aderenza alla realtà delle singole province era, poi, dimostrata dall'omogeneità delle richieste. La colonia non ha fatto politica, ad esempio, a Bari, a Foggia, a Taranto.
I gruppi che si sono messi alla testa della lotta lo hanno fatto non per il “contratto”, ma considerando necessario sconfiggere, sul terreno politico, il padronato, anche se il pretesto era quello del contratto.
Il padronato era convinto di dare un colpo ai braccianti (loro sindacati) che sono spesso la sola forza di contestazione nelle campagne pugliesi. Questa loro convinzione era rafforzata dalle difficoltà (anche sfiducia) che la legge del collocamento aveva creato ai sindacati. Dalla speranza di creare un forte rurale antisciopero in cui i contadini divenissero la massa di urto e manovra, in tal senso in primavera si erano svolte anche manifestazioni tumultuose. L'altro obiettivo era quello di sostenere l'attacco alle riforme (sostegno alle forze politiche di destra) organizzando una resistenza e provocazioni tali per cui l'esasperazione dei braccianti doveva sfociare in atti inconsulti, in “moti” tipo Reggio Calabria.
Secondo la mia opinione avevano sottovalutato la reale coscienza di classe delle masse pugliesi, aveano confuso sintomi di malcontento (di disgregazione del tessuto economico-sociale) con posizioni che credevano qualunquiste e pronte a reazioni inconsulte.
La categoria che cos'è realmente? Ecco un punto su cui occorre riflettere per capire le difficoltà dello sviluppo dell'azione e contemporaneamente l'inadeguatezza delle piattaforme degli obiettivi. Quanti sono i braccianti in Puglia? Chi sono? I 350.000 iscritti agli E.A. Saranno realmente 200/250.000, solo il 10/15% vivono di lavoro dipendente (sempre). Di questi il 30% è stabile nelle aziende da 200 a 300 giornate. In ogni comune della Puglia c'è il 10% di “veri” braccianti, senza arte né parte, che sopravvivono con mille mestieri, ma che nell'agricoltura nulla contano, ma al momento delle lotte diventano estremisti in certi casi provocatori o nemici dello sciopero. Ci sono poi alcuni gruppi che operano nelle aziende ortofrutticole: queste aziende sono presenti in particolare a Foggi e Taranto.
Sono aziende (FG) formate dal capitale extra pugliese: Arrigoni, ecc. Gli altri, il 90%, sono figure che si sono costruite un reddito in 100 modi. Quasi tutti hanno un pezzo di terra o in proprietà o in colonia, o in fitto o in subaffitto. Questo fatto crea una categoria particolare (mista?) i cui interessi “contrattuali” sono parziali. L'altro elemento è l'invecchiamento della categoria. Non esistono quasi più minori di 40 anni. Le donne, nel barese, non lavorano, salvo la zona dell'uva. Così, ovunque, le donne intervengono nel processo produttivo per brevi periodi, organizzate da mediatori e caporali: non si sentono braccianti. Ritengo urgente un'analisi del mercato del lavoro pugliese ed anche della situazione produttiva. Salvo alcuni comuni (montagna - Murgia).
L'occupazione (complessa, articolata, varia) è abbastanza alta. Quello che manca è la stabilità e la chiarezza del rapporto di lavoro. Questo dato conferma la funzione “secondaria” del contratto nello sviluppo della lotta.
Il padronato agrario pugliese è rimasto alla monocultura: grano, uva, olivo. Le aziende ortofrutticole sono, in generale, a capitale statale o continentale o misto. Nei pochi casi, dove l'irrigazione permette l'orticoltura, i padroni affittano a singoli.
Come pure nelle zone dell'uva da tavola vendono l'uva sulla pianta direttamente ai commercianti.
In questa situazione la lotta non deve danni economici (escluso FG nelle aziende che non sono degli agrari dove i danni sono seri) quindi lo scontro era politico. Pur non avendo mai, in Italia, puntato solo sui danni per vincere le vertenze, è chiaro che questa situazione dava forza e possibilità di resistere all'agraria.
La preparazione delle vertenze ha avuto momenti di ampiezza differenti, da provincia a provincia. E' certo che a FG ne hanno discusso in prevalenza i lavoratori stabilmente occupati nelle aziende.
Questo spiega il ritardo con cui si sono mosse bene le zone del medio e alto Tavoliere. Il grano non è stato oggetto di scontro, anche se è la produzione principale. A Bari, circa 1000 lavoratori hanno discusso delle rivendicazioni contrattuali.
La scarsa partecipazione (quantità e qualità e le donne?) spiega il tipo di piattaforma: a chi interessa il lavoro a tempo indeterminato? E la non conoscenza del medesimo da parte dei lavoratori?. Di qui un primo interrogativo: la lega a quale stadio di crisi è? Solo la lega poi?
I contadini. - L'indicazione di “liberarli” dallo sciopero (non si dimentichi che i contadini risiedono nei paesi), è stata in generale capita, anche se, solo a metà l'obiettivo è stato realizzato. Infatti non solo i braccianti non andavano al lavoro dei contadini, ma gli stessi dovevano filtrare i “posti di blocco”, oppure recarsi al lavoro sul tardi quando il posto di blocco smobilitava. I contadini sono rimasti neutri, salvo rari casi di partecipazione alla lotta o di reazione negativa. Anche la Bonomiana (struttura riferita a Bonomi della DC, capo della Fedeconsorzi e nemico dei comunisti) non ha potuto organizzare azioni di antisciopero, sia perchè firmataria con i sindacati delle piattaforme coloniche, sia perchè i contadini non vedevano nei braccianti dei reali nemici.
Mi pare di poter osservare che l'Alleanza ha perso un'occasione, forse unica, da un lato non firmando la piattaforma colonica e dall'altro rendendo sterile la sua azione, in quanto limitata a voler essere controparte (giusto) alle trattative.
E' mancata una piattaforma di lotta contadina che poteva ricevere forza dalla lotta dei braccianti e coloni e determinare una crisi più acuta (contadini) della coltivatori diretti e più pieno l'isolamento degli agrari. I sindacati hanno tentato di costruire tale piattaforma ma con ritardo (non si dimentichi che la lotta era unitaria con Cisl e Uil).
I temi più generali. - La lotta contrattuale è iniziata in Puglia, senza copertura, cioè senza un collegamento con i problemi generali. Si è cercato di coprire questo vuoto, sia rilanciando la Cassa integrazione e la parità previdenziale, sia chiedendo l'utilizzo immediato dei finanziamenti per l'irrigazione (35 miliardi). Solo in un secondo tempo i temi delle riforme e del Sud, discussi in quei giorni in Parlamento, sono diventati temi di lotta e di propaganda, come pure la richiesta di finanziare il piano (350 miliardi) di irrigazione.
Così il tema della svolta a destra e quindi della difesa delle istituzioni (in quei giorni virulente era l'attacco alla legge della casa) e dello sviluppo della Democrazia è stato appena accennato. Difficoltà serie sia del Regionale Cgil, sia del gruppo dirigente ad affrontare i temi politici ed a condurre campagne unitarie.
Lo sviluppo della lotta: quanti vi hanno partecipato? A Bari, escluso un gruppo di comuni, nei comuni dove si scioperava, tutti. Il problema dei comuni del Sud/Est (Bari) dove il sindacato è debole e dove è concentrata l'uva da tavola emerge con gravità.
Il fatto poi, che in assenza di picchetti, lo sciopero crollava, dimostra la non piena convinzione di scioperare. All'inizio erano piccoli gruppi che “imponevano” lo sciopero. La messa in movimento di alcuni comuni avveniva con decisione di piccole avanguardie (Bari). In alcune località lo sciopero è gestito, dopo la decisione del PCI. E' stato (Bari) uno sciopero molto discusso e contrastato, forse per questo al V al VI giorno più convinto ed ordinato. Scarsi gli atti teppistici e le azioni contro la proprietà e le libertà individuali. Come sempre imponenti i cortei e le manifestazioni sempre ordinate. Scarse le provocazioni ed anche “tollerante” il comportamento della polizia. Come sempre episodi molto belli di “eroismo” e di entusiasmo individuali di fronte alla lotta.
Resistere 20 giorni non è cosa da poco! Non si dimentichi mai la somma di sacrifici accumulati da questi lavoratori e dalle loro famiglie. I coloni hanno partecipato ma da subordinati (Bari) nel senso che è mancata una loro iniziativa specifica, lo sciopero colpiva più i loro padroni.
Credo non sia facile prevedere 71 comuni su 73. C'è molto da verificare sia dall'esperienza, sia nella costruzione giornaliera di un'alternativa. Come vincere tutti i giorni un poco? Come ridare fiducia, o meglio la fiducia rinata nella lotta come farla crescere, mantenerla, farla agire positivamente per avanzare?
C'è pericolo di una nuova caduta e l'esplosione prossima sarà realizzabile e controllabile? Elementi di disgregazione del tessuto economico e sociale sono estesi e presenti come pure sfiducia. Attenzione: la Puglia può essere il punto di ripresa delle lotte per la riforma e la rinascita nel Mezzogiorno ma non c'è tempo da perdere!
La solidarietà. - I Consigli comunali hanno appoggiato le lotte (come sempre). Pci, Psi, Psiup hanno ritrovato una unità positiva nel senso che, partendo dalle lotte dei braccianti e dalla condanna degli agrari, hanno riproposto i temi generali di riforma. Più contraddittoria la DC (solo il regionale) che si schiera con i braccianti (ma i contenuti degli o.d.g. erano deboli) nei consensi civici ma tace come partito. Contro il Msi (chi ne dubitava?). Con la Regione è iniziato un lavoro più complesso, che supera l'ordine del giorno e impegna l'istituto regionale su alcuni problemi più sostanziosi (riforma). Il fatto più nuovo sono gli scioperi degli operai e quelli generali (FG-TA-BA). Anche qui, però sono emersi limiti seri in ordine alla creazione di rivendicazioni precise in merito alle riforme e agli obiettivi parziali. Gli operai hanno risposto bene. Personalmente ritengo che anche al Sud si diffondono elementi di corporativismo ed aziendalismo (metalmeccanici calabresi).
Soprattutto mancano obiettivi comuni del settore agricolo (braccianti – contadini) e lavoratori agricoli, operai industria e classe operaia (città e campagna).
Facciamo attenzione: bisogna trovare (e ci sono) obiettivi comuni, precisi e controparte e su di essi combattere. Ritengo che il punto più dolente siano i contadini.
Come si è conclusa la vertenza. - Dovevamo gridare vittoria, l'abbiamo fatto, avevamo ragione di farlo. Per i braccianti anche la sola firma degli agrari era una vittoria. Ero a Grumo quando si è appresa la notizia dell'accordo, erano le 20.30, forse 2000 persone marciavano in corteo, venivano anche da San Paolo (FG) e da Torretta (TA). Un solo grido: “vittoria”. E non si conoscevano nemmeno i contenuti dell'accordo. E' importante che gli operai avessero in chiaro che gli agrari andavano piegati: decisivo! Però la differenza tra l'accordo realizzato o la piattaforma presentata è notevole e questo deve farci riflettere. Salari: richiesto 100 e realizzato meno del 50%. Orario: chiesto 36 ore (realizzate 40 in più anni. Trasporti: un semplice aumento dell'indennità. Qualifiche:spostamento in alto per alcune mansioni. Occupazione: lavoro a tempo indeterminato dopo 180 giorni presso la stessa azienda. Ma a chi interessa a Bari, Lecce e Brindisi? I piani: siamo rimasti alla fase della conoscenza così per i contributi dello Stato.
Per la colonia, mentre scrivo, non c'è nulla di definitivo. Nemmeno parità e cassa integrazione o sono arrivate in parte.
Il divario tra piattaforme e risultati è notevole sintomo di una non giusta valutazione delle forze in campagna (rapporti di forza) e ciò può essere mortificante per i gruppi più avanzati che hanno sostenuto e capito il carattere della lotta. Credo però che si debba sottolineare:
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che il “contratto” sta divenendo sempre più un obiettivo sindacale anche per i lavoratori pugliesi;
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le necessità di contrattare l'occupazione con le aziende, una via, non la sola, per andare verso la stabilità;
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il valore che hanno per l'agricoltura i finanziamenti pubblici e quindi la necessità di controllare l'uso ed il fine;
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il rapporto che esiste tra occupazione-trasformazioni-investimenti pubblici-riforme;
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tutta la battaglia meridionale ha ricevuto nuovo impulso, impulso che non deve andar perso.
La nostra organizzazione, pur rimanendo quasi l'unico punto fermo nelle campagne, come iniziativa e presenza, ha subìto nel tempo molti guasti. Siamo assenti in decine di comuni (Lecce – Foggia), le Camere del Lavoro delegano le iniziative di vere “città” alle Leghe braccianti e, nei fatti, una politica di zona non esiste. Lo sviluppo industriale fa ricorrere, spesso in senso attivistico, la fabbrica senza collocarne l'esistenza nell'ambiente più generale. I sindacati dell'industria hanno un concetto errato della verticalizzazione e del rapporto fabbrica/ambiente esterno.
Si denota una povertà di elaborazione, improvvisazione. Le Leghe spesso sono solo “assistenziali”: sarebbe interessante verificare l'esplicazione della legge del collocamento e ciò che ha provocato sulle Leghe. A titolo di esempio: alcuni capilega alla produzione compromessi (precedenza al lavoro), rifiuto ad occupare l'ufficio del lavoro in quanto ciò smonterebbe “critica” ai sindacalisti che operano nelle commissioni. Non parliamo di elaborazioni comunali, di piattaforme di zona. La non conoscenza di leggi sociali, dei contratti, dei diritti è quasi assoluta. Non si conosce la realtà dell'economia, le aziende, le trasformazioni subite (salvo eccezioni), il mercato del lavoro, ignorate le donne. I capilega (alcuni o molti) non leggono nemmeno i quotidiani. La stessa propaganda sindacale viene parzialmente diffusa, in parte resta nelle sedi provinciali ed in parte in quelle locali.
I CD di lega esistono? A Bari metà delle leghe all'inizio della lotta erano in crisi, altre lo sono andate subito. Le stesse organizzazioni provinciali (segreterie e CD) non vanno. Assenti i delegati, ad esempio a Bari.
Credo che un attento riesame delle strutture organizzative vada fatto con urgenza. Il funzionario tutto fare, padre del sindacato nel comune, non regge. I capilega alla produzione, salvo casi rari, non sono tali se non di nome. Chi decide è il funzionario in base il suo orientamento ed ai suoi impegni. Non si tratta di sole misure organizzative, che pure vanno prese, ma di un riesame delle politiche, del modo di essere sindacato, di lavorare. Non si tratta di rifare tutto, ma di rifare tanto!
Problemi unitari. - Li chiamo così in quanto si tratta di iniziative unitarie ben lontane da “modi” di unità sindacale. In Puglia le piattaforme erano unitarie, ma stavano assieme con lo sputo. Purtroppo è vero l'imbuto per una parte della Puglia! Decisioni unitarie provinciali, del resto, sempre concordate, non trovavano analogo riscontro nei comuni. Verso l'unità c'è sospetto, in particolare nelle discussioni. Non tutto però è piatto e statico, ci sono casi positivi di unità e buone esperienze. La Fisba (funzionari) è in generale sulla linea di Sartori (segretario generale Braccianti Cisl dal 1969 al 1979). Del resto anche le Unioni sono su posizioni di disimpegno. Purtroppo anche l'iniziativa unitaria (unità d'azione) è circondata da sospetto anche se si vuole evitare che emergano i problemi dell'unità sindacale. Nella Fisba ci sono molti ambiziosi: un costume sindacale che lascia a desiderare. Spesso i dirigenti sono faccendieri o arrivisti (non parlo di tutti perchè con alcuni si può lavorare specie ai livelli bassi). La Uisba, di fatto, è inesistente (ex comunisti) e ciò spiega tutto. Presente la Cisnal anche in grossi centri (non è un fenomeno nuovo) le comunità, le Acli (disimpegnate nelle vertenze ma che sottraggono organizzati e coscienze), in generale sospettosi e nemici dell'unità. Noi si ha la sensazione che le lamentele verso gli altri per il mancato impegno unitario (operativo) nascondono residui di settarismo, chiusure, sfiducia nel processo unitario.
Ritengo che la vertenza e la lotta abbiano fatto compiere passi avanti all'unità. Occorre lavorare sodo, alla base. Una grande campagna ideale sull'unità va fatta. Così una grande azione di proselitismo (70.000 su 350.000) gli iscritti federbraccianti, come pure di “modo” diverso di essere lega (democrazia?).
Note conclusive. - Ritengo che anche nel 1971, con alcuni correttivi, sia ripetuto lo schema del '69 e del '67. Tra il '69 ed il '71 c'è un vuoto di gestione che genera sfiducia. Un passo avanti hanno fatto (pur nei limiti) i rapporti con i contadini. Le conquiste sono “appuntate” come segni positivi, ma necessita farle vivere e gestirle. Non c'è un rapporto reale, democratico, tra i lavoratori e sindacato. Siamo un sindacato che perderebbe oltre il 50% degli iscritti e gli altri ancora di più se non facessimo le pratiche previdenziali e la disoccupazione in particolare. Ho dei dubbi, poi, crescenti su tutte le strutture della contrattazione. Se non vogliamo la continuità della lotta, se vogliamo dare tempo alle nostre organizzazioni di gestire, se vogliamo dare tempo e ordine alla contrattazione dobbiamo realizzare un contratto nazionale che prevede entro 3 mesi gli integrativi provinciali. Ciò creerebbe finalmente un momento politico nazionale di enorme valore. Non solo permetterebbe di sostanziare di più anche azioni di riforma, ecc. Non è possibile avere 10 zone salariali. Non è possibile volere e non volere i contratti regionali (volerli con le piattaforme ed i tempi di lotta), non volerli perchè insistiamo sui contratti provinciali.
Io sostengo che sono gli obiettivi, i contenuti (ciò a cui si punta e realizza) quello che conta. Le sedi sono mezzi e non fine. Dovremmo riflettere molto. Non sono facili, ad esempio, consistenti aumenti salariali a valle (3 mesi), dal rinnovo del contratto nazionale ed a monte.
Mi fermo, del resto a che serve scrivere oltre? Bisogna discuterne della battaglia pugliese con mente aperta, con spirito libero da schemi. Può essere già questo un passo importante?