Nota scritta sulle lotte in Emilia

I braccianti in Emilia hanno dimostrato una disponibilità all'azione sindacale superiore alle previsioni e di poter colpire l'agrario sul terreno economico e su quello politico. La lotta in Emilia poteva però svilupparsi di più, non solo, ma ottenere più cospicui e qualificati risultati. Tutta la vertenza è apparsa debole, rispetto alle possibilità, per alcuni motivi:

  1. nelle province dove si rinnovavano i contratti la lotta è stata esclusivamente “contrattuale” (anche per volontà della Fisba) in quanto non vi erano collegamenti diretti tra le richieste avanzate nelle piattaforme verso gli agrari ed i problemi dello sviluppo (occupazione-investimenti). Questa affermazione è suffragata dal fatto che, ad esempio, i “piani culturali” (i rinnovi contrattuali lo confermano) pur presenti nelle piattaforme erano assenti nel dibattito e nella coscienza della categoria (questa problematica era più presente anche se in modo insufficiente a Ferrara e a Modena) e non collegati ai piani zonali ed ai problemi dello sviluppo.

    Nel corso della vertenza non sono stati sollevati con forza i problemi dello sviluppo. L'intero movimento (compreso le CdL) non ha portato avanti la problematica contadina, le vertenze zonali, l'iniziativa per grandi opere pubbliche e la terra e ciò ha indebolito politicamente l'azione della categoria. Assenti nella propaganda e nell'iniziativa persino i temi delle pensioni, degli A.F. E della D.S. Che sono stati recuperati solo nei pochi comizi che si sono svolti durante il mese di lotta (4 a Bologna, 4 a Ravenna, 1 a Modena, 3 a Ferrara).

    Le due province che hanno cercato di raccordare l'azione contrattuale, anche se aziendale, alla zona e ai problemi dello sviluppo sono state Bologna e Ravenna che tra l'altro hanno sollevato, trovando intese con forze contadine ed operaie, il problema del C.E.R. Ma anche in queste province l'azione è stata episodica e scollegata dal resto dell'Emilia. Tutte le scelte i sviluppo elaborate dalle tre Confederazioni per l'agricoltura sono state rinviate a settembre. Inoltre si ha la sensazione che si “deleghino” i problemi dello sviluppo al governo regionale, governo attivo e pieno di iniziative. Non si tratta di polemizzare se la Regione è per noi la controparte, sede di confronto, alleato, ecc. Si tratta di stabilire il ruolo dinamico e dialettico che vogliamo giocare nell'interesse della stessa Regione. Durante le lotte si è perso per strada il problema delle valli ed anche il modo come si sono svolte le iniziative per il canale, dava la sensazione di non convinzione ed assenza di coordinamento. Infatti le organizzazioni di Ferrara e Forlì, che pure ne sono interessate, non hanno nemmeno parlato del canale.

    A proposito del canale, date anche le polemiche sulla validità dell'opera, su difficoltà tecniche è necessario un chiarimento definitivo con la Regione stessa.
    A rinnovi conclusi, un esame attento dei risultati è necessario farlo in relazione alle richieste che erano state presentate raffrontandole ai risultati che realizzano scarsi passi avanti in materia di organizzazione del lavoro, potere sindacale e piani culturali.

    Dall'esperienza fatta nelle stalle (Modena, Reggio, ecc.) ed in particolare dai risultati nella contrattazione aziendale a Bologna e Ravenna emerge l'urgenza di rilanciare la contrattazione aziendale (gestione e nuove conquiste) partendo dai piani culturali; di costituire le commissioni zonali; di rinvigorire la gestione del collocamento in stretta connessione con i problemi dello sviluppo facendo punto nella zona. Le linee di intervento in agricoltura fissate dalla Regione (dai sindacati accolte senza riserve) sono una utile base di discussione, di confronto e di iniziative. In particolare va chiarito comunque il senso “contadino” delle scelte in relazione al futuro della categoria.
     

  2. Piattaforme – Sono state presentate piattaforme generiche, spesso costruite senza una sufficiente partecipazione dei lavoratori. Di fatto le piattaforme hanno rimesso in discussione solo alcuni punti del patto nazionale. Le piattaforme coglievano solo in parte le reali esigenze della categoria in ordine, in primo luogo, all'organizzazione del lavoro. Non tenevano sufficientemente conto dei settori a carattere industriale che si sono formati (avicoli, trasformazione dei prodotti, allevamenti, ecc.). ma ciò che più preoccupa è che si è puntato a risolvere solo la questione del tempo indeterminato, cioè la condizione della manodopera più stabile. Ci sono casi dove anche del terreno salariale si è privilegiato il lavoro stabile. Questo elemento va attentamente valutato. Da registrare, poi, molte critiche da parte delle CcdL su “patto e contratto”. Le CcdL sottolineano la necessità di liberare la categoria da un impegno “contrattuale” (rinnovi) che è divenuto quasi permanente a scapito della gestione e dell'iniziativa generale.
     

  3. E' ovvio che vanno fatti alcuni approfondimenti sul problema delle sedi contrattuali, sulla necessità di affrontare, nei contratti, con più vigore, le peculiarità di alcuni settori in ragione anche dei mutamenti del mercato. Ma non è questo decisivo e preoccupante. Quello che più preoccupa è che anche in Emilia la gestione lascia a desiderare e indebolisce tutta l'azione contrattuale (si pensi che Bologna non ha ancora recepito l'accordo provinciale siglato nel luglio 1972).
     

  4. Conduzione della lotta – Ha pesato inizialmente un certo ottimismo sulla disponibilità degli agrari alla trattativa. E' vero anche che senza l'intervento della Confagricoltura si poteva, su basi più avanzate, concludere prima. Hanno pesato il ritardo nella mobilitazione della categoria e in particolare la genericità delle piattaforme e lo scollegamento con i problemi dello sviluppo. Una unità regionale, proprio perchè si è agito quasi solo sul terreno contrattuale, non si è realizzata. Nemmeno con la manifestazione regionale di Ferrara, né col tardivo intervento della Federazione Cgil, Cisl, Uil regionali è stata superata questa situazione. Alcune CcdL su questo terreno sono state comunque più impegnate (Ferrara, Modena).
     

  5. Gli scioperi sono cominciati in ritardo, specie a Ferrara che ha perso i 15 giorni della mietitrebbiatura e liberato di fatto dallo sciopero la società di bonifica e tutte le zone cerealicole. Si è puntato poco sui lavoratori di campagna: a Reggio Emilia il contratto è stato strappato quasi esclusivamente da 6/700 lavoratori di 78/80 stalle su 400 stalle esistenti, a Forlì da un migliaio di addetti al settore avicolo.
     

  6. Anche gli scioperi (su questo la Fisba ha pesato negativamente) venivano proclamati unitariamente, ma non si realizzavano iniziative pubbliche, non si investiva la città. Solo verso la fase conclusiva, gli Enti locali, i partiti, l'opinione pubblica, alcune fabbriche, sono stati interessati. Anche questa attività ha variato, da provincia a provincia. L'azione esterna poteva e doveva essere più forte. Ciò non significa che non vi siano state iniziative, comunque sono state insufficienti e inferiori di contenuto e quantità alle possibilità dell'organizzazione emiliana.
     

  7. Di rilievo l'accettazione della Fisba di differenziare i contadini dallo sciopero anche se ha rifiutato la ricerca di iniziative comuni con i contadini. La Fisba, nelle trattative, in base anche ad un positivo impegno regionale, ha tenuto con fermezza sulla piattaforma, in particolare sul tempo indeterminato ed i salari, ma anche la tiepidezza della Fisba sui “piani culturali” era spiegabile con la scarsa comprensione che nella categoria questa rivendicazione aveva. Complessivamente è stato buono il rapporto unitario.
     

  8. Altro elemento critico è che la vertenza è stata gestita da ristretti gruppi dirigenti. Se si esclude Modena, che ha convocato numerose assemblee unitarie di comune e frequentemente l'assemblea provinciale dei delegati e attivisti, realizzando, in questo modo, una buona esperienza. Ciò non significa che assemblee e attivi non si siano svolti nelle altre province (in particolare Ferrara), ma la gestione della vertenza da parte ei lavoratori e dei delegati è apparsa insufficiente. Anche il comportamento della Coldiretti, escluso Ferrara, è stato in generale positivo. Da segnalare la partecipazione della Coldiretti a manifestazioni unitarie nel ravennate e ad Argenta.
     

Un'ultima considerazione relativa alle strutture del sindacato. In Emilia ci sono i delegati (si possono ancora estendere), ci sono le leghe e le zone. I delegati rappresentano però la manodopera più stabile e quindi gli avventizi non esprimono una loro figura unitaria eletta. Le leghe si confondono con l'Inca e le CcdL. Sono cioè una sorta di “presenza” sindacale per tutti quelli che abitano in quel paese o comune. L'attività zonale è in generale priva di un suo programma, di una sua linea, si limita spesso ad un funzionario che trasmette e cerca di realizzare le decisioni provinciali. L'invecchiamento dei quadri funzionari, specie nei comuni e zone è notevole. Complessivamente, comunque, la categoria e l'organizzazione hanno una forza che può giocare un grande ruolo.