Via Homs – Via Tigrè

Nel 1966, ai primi di febbraio, mi sono trasferito a Roma con la famiglia. La decisione, presa a Via delle Botteghe Oscure a mia insaputa, è scaturita dal fatto che dovevo assumere il ruolo di dirigente nazionale della Federbraccianti/CGIL. Valse poco la resistenza dei compagni di Ravenna che mi proponevano segretario della Camera Confederale del Lavoro della provincia.

Venni ad abitare in Via Tigrè, dove vivo ancora, in un appartamento dell’Inail che mi aveva trovato la Cgil, come per tutti i compagni che dalla periferia venivano impegnati a livello nazionale.

 

Nella mia scala abitavano alcune famiglie di compagni con cui feci subito conoscenza. A Via Tigrè fra gli iscritti al PCI c’erano diversi compagni che erano stati perseguitati dai fascisti. All’inizio non fui coinvolto nell’attività della sezione del mio quartiere in quanto i dirigenti nazionali erano tenuti fuori dall’attività di base.

 

Nel II Municipio vi erano diverse sezioni del PCI:

  • quella storica, costituita nel primo dopoguerra nella ex sede del fascio a Via Sebino

  • quella a Via Alessandria a cui erano iscritti in maggioranza funzionari ed impiegati della Cgil che aveva ed ha sede in Corso d’Italia

  • Quelle nei quartieri Flaminio, Parioli, Vescovio, Fomentano

  • Due sezioni aziendali al Poligrafico e all’Enel.

 

Gli iscritti nella II Circoscrizione erano più di 1.500 che, negli anni successivi, superarono i 2.000. Tra gli iscritti consistente era la presenza di donne.

 

La mia sezione di riferimento (Fomentano) era ubicata a Via Homs in un manufatto (rudere) con una stanzetta che fungeva da ufficio ed un ambiente più ampio in cui (la cosa mi colpì positivamente) vi era una piccola biblioteca.

 

Questa sezione si occupava quasi esclusivamente delle borgate: Vigna Mangani, Borghetto Fomentano, Fosso di S. Agnese. Circa 1.000 famiglie che vivevano in condizioni fatiscenti nelle baracche di lamiera e legno, senza servizi igienici. Quasi tutti erano immigrati del dopoguerra in particolare dall’Abruzzo e da altri paesi dove non c’era lavoro. Muratori o manovali, mentr le donne andavano a “servizio” dai benestanti dei quartieri adiacenti. Nelle borgate vi era anche delinquenza che, per merito del PCI, rimase a minimi livelli.. La borgata di Villa Mangani era una di quelle che non si dovevano vedere (???) ed era, ovviamente, più strutturata e politicamente la più rossa. IL PCI aveva qui percentuali di voti superiore al 70% e vi viveva la maggioranza degli iscritti della sezione Nomentano . A Vigna Mangani vi era un’osteria che di fatto era la “Casa del Popolo” ed a Fosso di S. Agnese un piccolo spaccio (mescita e panini) gestito dai compagni. L’attività della sezione era concentrata nelle borgate. Un portiere di Viale Eritrea distribuiva 60/70 copie dell’Unità tutte le domeniche a Fosso di S. Agnese. Un altro compagno che veniva da Livorno era il referente e l’anima dell’attività di Villa Mangani e ne diffondeva altrettante, mentre una trentina venivano distribuite dal caro compagno Robiati a Borghetto. Altre attività come i casi di alfabetizzazione e di promozioni culturali erano animati dal compagno Borelli che poi è stato per 15 anni sindaco di Monterotondo.

Per i compagni e le compagne della sezione il quartiere non esisteva: era di destra (MSI e DC) e quindi si evitava di fare attività esterna. Vi era un gruppo di giovani che si riuniva e studiava i sacri testi sotto una guida competente e discutevano della classe operaia.

Ricordo che proposi, in occasione di uno sciopero, di distribuire volantini davanti alle fabbriche della Salaria. Ne furono entusiasti e scegliemmo l’Autovox. Ma cominciarono ad entrare in crisi visto che dovevano alzarsi alle 5 di mattina (gli operai, molti pendolari, entravano alle 6). Ed ancor di più per l’accoglienza fredda che ricevettero. Fu salutare per comprendere che la classe operaia è “rivoluzionaria”. Ma la “rivoluzione” è un’altra cosa.

 

Non era solo la sezione Fomentano ad estraniarsi dai quartieri ma, ad esempio, quella del Salario che si era gemellata con(non ricordo quale) una sezione della Provincia ed il suo maggiore impegno era recarsi tutte le domeniche a fare attività in quel Comune.

 

La proposta di uscire nelle strade dei quartieri per un sentimento di clandestinità non trovavano ascolto nel Comitato Direttivo, né sostegno dalla Federazione che riteneva zone rosse il Tufello e Valmelaina, mentre il Trieste e Nomentano erano considerati feudi neri.

 

Il primo atto di rottura lo compì il sottoscritto con il compagno Robiati che era un orafo più che povero, un artista un po’ anarchico): su un carrello della spesa, liberato dalla sacca, montammo un altoparlante a batteria e cominciammo a girare per le vie del quartiere Nometano, tra lo sconcerto e l’incredulità, denunciando e propagandando oggi non ricordo più cosa. Le reazioni esterne ed interne al PCI aprirono un dibattito. Il secondo atto fu l’apoertura della sede a Via Tigrè, l’uscita cioè dal rudere e la visibilità finalmente nel quartiere.

 

Avevo già defiito con l’Inail le basi del contratto ed approfittando di alcune assenze nel Comitato Direttivo della Sezione feci approvare l’apertura della nuova sede la cui segretaria fu Marisa Malaspina.

 

L’altro episodio che cambiò la politica dei Comunisti del Nomentano fu la Festa de l?unità a Piazza S. Emerenziana, mi pare nel settembre del 1968 ed era la prima festa comunista che si svolgeva nella II Circoscrizione, escluso quella della borgata di Vigna Mangani.

 

Il sabato mattina, all’alba, legammo ai pini della piazza 8 bandiere rosse con la falce ed il martello, esponemmo numerosi pannelli propagandistici e tra il sabato e la domenica organizzammo un po’ di musica ed un comizio, qualche bibita, vino e panini: un successo. Il sabato mattina motociclisti ed automobilisti vedendo sventolare le bandiere rosse su Piazza S. Emerenziana rimasero sconcertati ed impressionati, ma lo sconcerto e l’incredulità furono enormi nei molti fedeli che la domenica frequentavano la chiesa: non mancarono scomposte proteste.

 

Contemporaneamente all’azione per migliorare la condizione delle borgate e la lotta per la casa iniziammo ad occuparci del quartiere: il mercato, la scuola, la viabilità, gli sfratti e l il verde: C’è un’ampia documentazione anche fotografica sull’impegno del PCI per recuperare al quartiere Villa Chigi (altro che Di Nella al quale hanno cercato di sbiadire il suo essere fascista con un suo presunto impegno ambientale)

 

Con fermezza, con coerenza e continue iniziative, la sezione di Via Tigrè da quando fu aperta ha reagito ad ogni attacco fascista e ad ogni atto che tendesse a limitarne l’agibilità democratica, da un lato chiamando i cittadini ad organizzarsi e manifestare e dall’altro denunciando alla Magistratura ogni violenza ed aggressione dei fascisti. Sono state più di cento le denunce ed in alcuni casi gli autori delle aggressioni sono stati individuati e condannati. Al contrario non c’è stata mai una denuncia nei confronti dei dirigenti e militanti del PCI per atti di violenza.

 

Ricercammo l’unità anche con gli scout, organizzammo manifestazioni pubbliche di denuncia e la presenza attiva davanti alle scuole, in particolare al liveo Giulio Cesare che era permanentemente picchettato dai fascisti, tra i quali Izzo e Ghira (i mostri del Circeo) ed altri confluiti nei Nar. Quello che maggiormente infastidiva i fascisti ed i democristiani era il nostro costante impegno sui problemi del quartiere: asili nido, assistenza, speculazione edilizia. Forte era l’attenzione su quello che capitava nel mondo oltre alle questioni nazionali, per la pace sempre, contro il colonialismo, per la pace in Vietnam e contro il colpo di stato dei colonnelli greci.

 

La diffusione domenicale dell’Unità all’incrocio della Salaria con Viale Somalia, a Via Nomentana al semaforo di Via Asmara, in alcuni caseggiati e ovviamente nelle borgate superava le 400 copie vendute ed il I maggio sfiorava le 1.000 copie. Anche il coccardaggio alle manifestazioni divenne una costante. Le Feste de l’Unità le organizzammo per alcuni anni al parchetto di Viale Somalia e poi con la sezione Salario e Vescovio al Parco Nemorense. Animatore, diffusore e straordinario militante in tutta l’attività soprattutto nell’affissione dei manifesti era il compagno Umberto Ricotta, per me compagno e fratello.

 

Nel nostro quartiere non trovarono mai spazio né Lotta Continua, né Potere Operaio od altri estremismi. Il Partito di cui oggi faccio parte Rifondazione Comunista, che non è estremista, ricalca in pieno la politica del PCI che ho vissuto e che per certi versi è di una attualità incredibile.

 

Penso che il odo deciso con cui affrontavamo la lotta politica in quegli anni, la coerenza antifascista e forti idealità da noi propugnate siano state alla base dell’adesione di tanti giovani: potevamo contare sulla presenza di centinaia di ragazzi e ragazze attivi e presenti nelle scuole ed in tutte le iniziative di piazza che erano continue e numerose. Le compagne avevano un grande peso e si distinguevano per fermezza e determinazione nei confronti dei fascisti e delle politiche del governo, con un grande impegno di solidarietà anti Usa e con i popoli in lotta. Segretario della sezione è stata quasi sempre una donna.

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