2009 - Nota sulle pensioni

 

Nota 2009 (in alcuni punti scrittura indecifrabile)

 

Previdenza

L'Inps, nonostante il peggioramento dei conti causato dalla crisi economica, salvo ulteriori aggravamenti, chiuderà il 2009 con un attivo di esercizio pari a 2,9 miliardi.

Tutto bene? Niente affatto! Questo risultato positivo nasconde enormi iniquità che, se non affrontate, produrranno risultati disastrosi.

Buona la situazione del comparto lavoratori dipendenti (fondo lavoratori dipendenti storico, fondi speciali per prestazioni temporanee) anche se non mancano ingiustizie.

Il fondo lavoratori dipendenti storico (quello dei metalmeccanici, tessili, edili, ecc.) già in attivo dal 2004, chiuderebbe l'anno con un attivo di esercizio di oltre 6 miliardi.

Nel comparto lavoratori dipendenti sono stati però inseriti i cosiddetti fondi speciali strutturalmente in passivo: dal 1996 l'ex fondo trasporti, dal 2000 l'ex fondo telefonici ed elettrici e infine dal 2003 il fondo dei dirigenti Inpdai. Questi fondi fatti confluire nell'Inps proprio perchè andati in deficit (i primi tre per favorire le privatizzazioni delle aziende a partecipazione statale) cumuleranno un passivo previsto in 7.489 miliardi di euro. Il comparto dei lavoratori dipendenti chiuderà comunque con un attivo di 4.447 miliardi, grazie all'avanzo di 5.544 miliardi delle prestazioni temporanee (il fondo al quale vengono versati i contributi destinati alle cig, disoccupazione, malattia, ecc.). Inoltre l'attivo (patrimoniale del fondo parasubordinati) è pari a 57.840 miliardi e quello di esercizio del 2008 è di 7.483.

Grazie all'avanzo patrimoniale delle prestazioni temporanee, pari a 184 miliardi di euro, l'avanzo patrimoniale del comparto lavoratori dipendenti previsto è di 60.174 miliardi di euro, a cui andrebbe sommato quello dei parasubordinati.

I fondi dei lavoratori autonomi (coltivatori, artigiani e commercianti) si prevede chiuderanno il 2009 con un passivo di esercizio di 9.618 miliardi e un passivo patrimoniale di 73.080 miliardi.

Operai, parasubordinati, cassaintegrati, disoccupati e ammalati, pagano le pensioni di clero, artigiani, agricoltori, commercianti e dirigenti. Tra i lavoratori autonomi sono sempre più numerose le aziende con dipendenti, con consistenti mezzi di produzione ed elevati fatturati. Mentre i dirigenti di azienda, oltre ad elevate pensioni di fatto rappresentano il datore di lavoro assumendo funzioni che ben poco hanno in comune con il lavoro dipendente.

Solidarietà dai più poveri ai più abbienti è questa la ragione per cui il welfare italiano, a differenza di quello di molti altri paesi, riduce di pochissimo le diseguaglianze e soprattutto la povertà.

Non è inutile ricordare che i lavoratori dipendenti pagano come contribuzione il 33% del loro salario, i parasubordinati il 26% e gli autonomi il 20% su redditi bassissimi.

Sono pi falsi gli allarmismi sulla crescita del numero dei pensionati che invece diminuiscono, anche in presenza di un aumento degli autonomi. Non solo, anche l'età media con cui si va in pensione, è in linea con gli altri paesi europei.

Il mancato rispetto della separazione tra assistenza e previdenza permette allo Stato di scaricare sulla previdenza costi impropri. L'ultimo trasferimento di costi, deciso nella finanza del 2008, addirittura retroattivo, inciderà sui fondi previdenziali per 5,5 miliardi di euro. Manovre che come è evidente allontanano il momento in cui finirà il debito per anticipazioni da parte dello Stato permettendo al ministro del tesoro di utilizzare l'Inps come una banca, come già fa con l'Inail che è "creditore" nei confronti dello Stato di circa 11 miliardi, mentre continua a pagare rendite modeste a quanti rimangono permanentemente menomati a causa di infortunio o ai superstiti in caso di morte. No solo, non si occupa, se non marginalmente, di prevenzione.

Vi è invece una situazione finanziaria pesante nel settore del pubblico impiego. Il passivo, previsto per il 2009, è di 13 miliardi di cui solo 5 recuperabili. La situazione è data da molteplici fattori: privilegi passati, diminuzione degli addetti, sistema di contribuzione, ecc. Questo deficit è preso a pretesto per insistere sulla necessità di ridimensionare il sistema pensionistico.

Bisogna riformare la gestione del welfare:

  1. costituire un unico Ente previdenziale per tutti i lavoratori dipendenti, pubblici e autonomi, per le sole pensioni alimentate dai contributi (vecchiaia, invalidità e superstiti) con tre specifiche gestioni: privata, pubblica, autonoma. L'Ente previdenziale deve essere alimentato dalla contribuzione. Il valore della contribuzione, anche con gradualità, dovrà essere unico e a livello intermedio tra il 33% dei lavoratori dipendenti e il 20% degli autonomi che garantisca l'equilibrio della gestione

  2. costituire un distinto Ente per l'assistenza gestito congiuntamente dallo Stato, dalle Regioni e dai Comuni

  3. costituire un Ente per il mercato del lavoro e le prestazioni di sostegno al reddito. Deve essere gestito dallo Stato e dalle Regioni e comprendere la formazione permanente. L'Ente per il lavoro deve inizialmente essere finanziato dai contributi che devono essere estesi alle aziende di tutti i settori e ai lavoratori autonomi. Dovrà estendere le indennità di disoccupazione e la cassa integrazione. Già oggi è possibile, visto il grande attivo dell'apposito fondo Inps che ha prestato 37 miliardi ai fondi previdenziali deficitari diversi da quelli dei lavoratori dipendenti e un attivo di esercizio di 8.233 miliardi. L'estensione in chiave universalistica dell'indennità di disoccupazione e di eventuali altre forme di sostegno al reddito dovrà essere coperta dalla fiscalità generale, una volta che questa sarà riformata e resa equa e andrà discussa la sua estensione in un quadro di equità sociale e condivisione sociale.

 

Previdenza integrativa

Solo 2 milioni su 19 si lavoratori dipendenti hanno aderito ai fondi pensione negoziali. Questo dato dimostra come questi fondi non siano la risposta effettiva al calo del valore delle pensioni previsto in seguito al passaggio al sistema contributivo. Peraltro i lavoratori che aderiscono non sono quelli che hanno maggiori necessità di essere tutelati e cioè i lavoratori cui si applica il sistema contributivo e i lavoratori precari e soprattutto quei giovani che stanno accumulando periodi di bassi salari e di attività saltuarie che difficilmente potranno essere recuperati. Aderiscono ai fondi lavoratori che hanno minori problemi previdenziali e che vedono nei fondi una possibilità di risparmio a maggior rendimento rispetto ad altre forme soprattutto per il contributo da parte delle imprese, scontato dal costo medio dei contratti di lavoro. Negli ultimi anni questi fondi hanno avuto inoltre rendimenti inferiori ai Bot e al Tfr provocando predite significative.

La previdenza pubblica a ripartizione deve rimanere il pilastro collettivo a garanzia della solidarietà tra generazioni e come sistema più razionale nell'uso delle risorse rispetto al welfare aziendale o di categoria. La situazione dei fondi crollati per la modifica profonda del rapporto tra occupati di un'azienda o di un settore o per futuri prble3mi dei mercati finanziari confermano l'incertezza e precarietà della previdenza integrativa.

I fondo sono e rimangono a rischio anche se gestiti dalle organizzazioni sindacali e padronali e non hanno in sé alcun elemento solidaristico.

In Italia, relativamente ai fondi integrativi, va riconosciuta, agli aderenti, di poter recedere dal versamento del Tfr, come lo è per le quote contrattuali e di poter aderire al fondo Inps e di poter, eventualmente, utilizzare l'accumulato per il calcolo definitivo della pensione.

 

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