1974 - Intervento

 Relazione introduttiva al dibattito del CD nazionale Federbraccianti

(in preparazione dell'assemblea nazionale dei quadri  – data presunta 12 dicembre 1974)

Non credo necessario, in questa riunione, insistere sulla gravità della situazione economica che attraversa il Paese, sulle connessioni che la crisi italiana ha con quella che sconvolge i paesi capitalistici, se non per sottolineare che il superamento della crisi avrà tempi lunghi e metterà alla prova la capacità di tenuta, di iniziativa, di autonomia del movimento sindacale.

Si tratta di evitare che le scelte politiche e rivendicative del sindacato, per un diverso modello di sviluppo economico, vengano offuscate da lotte particolaristiche e corporative e bloccate da posizioni moderate. Vogliamo, anche in questo periodo di crisi, avanzare sul terreno del potere per mutamenti qualitativi della condizione del lavoratore nelle aziende e nella società, verso i padroni e lo Stato.

E' questa, senz'altro, una crisi diversa in quanto sono in discussione i rapporti di forza e di mercato tra gli Stati e dentro ogni Stato che apre una prospettiva nuova nei rapporti tra le classi e le nazioni.

L'Italia, anche per le sue strutturali arretratezze, le sue fragili basi economiche, le aree di sottosviluppo, gli sprechi, le risorse non utilizzate, è nell'occhio del tifone di questa crisi di cui. Ad esempio, la carenza di beni alimentari ne è un aspetto sempre più drammatico.

La linea del pieno uso delle risorse, quelle umane e materiali, ci pare la linea a perseguire. E' una linea di classe, nazionale, ma anche di grande respiro mondiale e ideale.

In questo ambito e a tal fine l'agricoltura ha un decisivo ruolo. Essa è infatti una risorsa di tipo “speciale” non ancora pienamente utilizzata. Questa scelta non significa respingere le conversioni industriali, chiudersi ai rapporti commerciali, negare, nella stessa agricoltura, l'esigenza di sviluppare i settori più avanzati per aumentarne le rese e la produzione, ma sostenere che contemporaneamente è necessario aumentare fortemente la produzione attraverso l'estensione della base produttiva con la messa a coltura della terra, con l'irrigazione, con l'uso produttivo della montagna.

Queste scelte suscitano crescenti interessi tra forze politiche e sociali diverse ma, per essere realizzate, hanno bisogno di disporre di consistenti mezzi finanziari e che alle Regioni, agli organismi di base (Comunità montane, Cooperative, forze associative, Enti locali) e ai lavoratori (dipendenti ed autonomi) vengano riconosciuti pieni poteri, un ruolo reale in materia e la funzione di protagonisti.

E' importante che dopo anni di “offuscamento” e di polemiche anche sottovoce (ma non sempre), l'agricoltura sia riconosciuta dal Movimento operaio la “priorità delle priorità”, una decisiva risorsa, un volano per la ripresa economica e che oggi figuri ai primi posti nel confronto tra governo e sindacati.

Questa scelta accresce il prestigio della nostra organizzazione che con coerenza e ostinazione ha posto la questione per anni, ma nello stesso tempo ci impone di assolvere, oggi, ad un compito ed un ruolo certamente più impegnativi e qualificati.

“E' una scommessa – diceva Rossitto (segretario nazionale della Federbraccianti dal 1970 al 1977) – che dobbiamo vincere”.

Voglio aggiungere che già altre volte si sono create le condizioni per il rilancio dell'agricoltura, ma poi per diverse ragioni si sono perse.

Basterebbe ricordare la conferenza nazionale dell'agricoltura del 1960, a cui purtroppo seguì uno sviluppo economico che provocò l'espulsione dalle campagne di centinaia di migliaia di lavoratori e processi di abbandono dell'agricoltura.

 

Un disegno coerente. - Tutta l'impostazione politica e rivendicativa della Federbraccianti, oltre ad una ferrea coerenza, ha oggi dei precisi punti fermi:

  1. un patto nazionale che unisce la categoria, sia sul terreno salariale che su quello normativo ad un più alto livello. Questo non significa che non si ponga una riflessione sulla struttura e sul futuro contrattuale della categoria, ma ciò avviene per nostra scelta non in presenza di una crisi della contrattazione. Vogliamo determinare un'ulteriore avanzata della condizione e del potere del lavoratore, fare aderire, sempre meglio, le nostre rivendicazioni alla realtà del mercato del lavoro, del processo produttivo. In questa direzione vanno gli approfondimenti in corso sulle qualifiche e l'ambiente ed anche sulla struttura contrattuale. Ma la base su cui tutto il disegno contrattuale e più generale si fonda, è la gestione delle conquiste. E' questo della gestione, assieme al rinnovo dei contratti provinciali e la vertenza sulla contingenza, una scelta precisa da far vivere alla categoria.

  2. Una situazione previdenziale avviata verso la parità. Una situazione che ci pone seri problemi per collegare le prestazioni alla realtà retributiva, per la determinazione del diritto. Immediatamente siamo impegnati per l'aumento delle pensioni, l'unificazione degli Enti e la riforma dell'Inps, la realizzazione di riforme di salario previdenziale per giungere al salario garantito.

  3. Una linea e obiettivi di sviluppo i cui punti fermi sono il recupero alla produzione di notevoli quantità di terre. L'irrigazione di centinaia di migliaia di ettari, l'uso produttivo della montagna, la trasformazione e l'industrializzazione dell'agricoltura. Questi obiettivi, divenuti vere e proprie vertenze a seguito del convegno di Matera, di quello sulla montagna, della conferenza stampa sulle terre incolte e delle decisioni dell'ultimo comitato direttivo Cgil, Cisl e Uil, devono trovare concretezza e ampia unità, un valido sostegno realizzabile con grandi lotte, partendo dalla contrattazione dei piani colturali, nelle Zone e nelle Regioni. Ciò è urgente in quanto sono iniziati gli incontri con il governo per le pensioni, le tariffe elettriche (già concluso), gli investimenti, la contingenza. Con la formazione del governo Moro, il cui programma economico viene dal sindacato negativamente e severamente giudicato, si entra comunque in una fase nuova, delicata.

Il richiamo, pur sommario, alle scelte di movimento che non sarà di breve durata, è necessario in quanto anche le linee organizzative vanno finalizzate agli obiettivi e al ruolo che la categoria persegue e gioca.

Oggi queste scelte di sviluppo agricolo le possiamo portare avanti. Possono essere vittoriose, sono una scommessa da non perdere perchè sono divenute scelte del movimento operaio e contadino. Rappresentano un deterrente ritenuto positivo da tanti (forze politiche, economisti) per la ripresa economica. L'eco del convegno di Matera e della conferenza stampa sulle terre sono il segno del grado di maturazione cui sono giunti alcuni problemi.

Certo, concedetemi lo sfogo settario: è anche un premio alla nostra organizzazione che in questi anni ha tenuto coerentemente quando, troppo spesso, si scindevano i problemi del salario e dei contratti da quelli dello sviluppo, ed ora sulla questione delle terre incolte si affannano Bonomi, Sartori e persino Diana!

 

Siamo più forti. - Vicino ad una linea sindacale, che si è perfezionata e precisata ad obiettivi sostanzialmente giusti e a lotte spesso vittoriose, è cresciuta la forza organizzata della Federbraccianti.

Dal 1970 ad oggi gli iscritti in più sono 155000, di cui 110000 nel solo 1974.

Aumentiamo di 21000 nel Centro/Italia, di 5000 nel Veneto, di 135000 nel Sud. Perdiamo 9000 organizzati al Nord. Organizziamo oggi il 31% degli addetti contro il 23% del 1970.

Ma oltre all'aumento degli iscritti è giusto ricordare l'avvenuta costituzione di 17 Federazioni Provinciali, di 300 Zone, dei CD Regionali, l'apertura di 500 Leghe, l'aumento di quadri e funzionari. Abbiamo complessivamente un'organizzazione più robusta anche se in parte è cresciuta e sta crescendo sotto la spinta della delega sindacale e sul sussidio di disoccupazione.

Permane però, malgrado la crescita organizzativa, un profondo divario tra l'elaborazione delle linee e degli obiettivi, che spesso sono di vertice anche se profondamente connaturati ai bisogni e alla realtà della categoria e la capacità della categoria e dei nostri quadri di acquisirli e di farli vivere con le lotte.

Del resto il divario tra conquiste e loro realizzazione è notevole e questo divario in particolare si ha nell'attuazione delle norme contrattuali più squisitamente politiche: piani colturali e aziende, commissioni contrattuali, loro compiti e poteri. Superare questo divario significa dare una più alta coscienza sindacale e politica alla categoria, promuovere e dirigere un movimento di massa nelle campagne, di braccianti, di contadini, delle popolazioni.

Come pure è necessario lavorare più intensamente, avviare a superamento la divisione sindacale tra i braccianti e i loro sindacati. Le stesse scelte organizzative vanno finalizzate a queste esigenze, ma da questa realtà sono anche condizionate.

 

Il rilancio del processo unitario. - Nessuno nega o vuole nascondere che tra le confederazioni e all'interno di alcune di esse esistano seri dissensi, del resto il dibattito del CD della Federazione non li ha velati.

E' importane che il CD si sia concluso senza cedimenti deteriori, né spaccature drammatiche ma con un unanime voto sullo sviluppo della lotta (8 ore di sciopero entro il 18 gennaio), a sostegno della vertenza con il padronato e con il governo.

E' importante poi che sia stato espresso un voto unanime che cito: “impegna la segreteria e tutte le istanze della Federazione ad organizzare unitariamente il dibattito in tutte le strutture e nelle assemblee dei lavoratori sulla base della relazione e dei contributi emersi nel dibattito svoltosi nel CD”. Il Direttivo ha poi deciso di convocare, per marzo, i Consigli Generali per trarre le somme del dibattito. Le reazioni di Sartori (segretario generale Braccianti Cisl dal 1969 al 1979) e Scalia (esponente della Cisl), sono state brutali. Scalia ha attaccato a fondo tutta l'impostazione sindacale e le decisioni di rimettere in moto il processo unitario con motivazioni ideologiche e ha ipotizzato l'avvio di un processo che porterebbe alla formazione di un sindacato para-comunista con Storti (segretario generale Cisl dal 1958 al 1976) e soci e di un sindacato democratico. Sartori ha affermato che le decisioni del CD sono la puntuale conferma del fatto che ogni forzatura del processo unitario rischia di produrre pericolose lacerazioni nel movimento sindacale. “Sappiamo bene – ha aggiunto Sartori – che neppure questa evenienza servirà a richiamare a maggiore riflessione e prudenza certi schieramenti del movimento sindacale e quei dirigenti sindacali che sono ormai nell'impossibilità di scendere dalla tigre che sono stati costretti a cavalcare. Pressioni e strumentalizzazioni ed una irrefrenabile ansia di potere hanno fatto di questi uomini, della cui lealtà verso il movimento sindacale democratico e verso i lavoratori mai nessuno ha dubitato, i fatali esecutori non già dell'unità ma della divisione sindacale”. Alla luce di queste affermazioni la scelta dell'unità che vogliamo rendere più viva ed operante, dobbiamo sapere che richiederà una battaglia non facile in generale e in particolare difficile nel nostro settore.

In molti settori, nelle fabbriche, il movimento sindacale è profondamente unito, anche tra le confederazioni si sono compiuti passi avanti concreti sulle politiche contrattuali, sulle linee economiche, sulle forme di lotta, sulle alleanze.

Anche l'autonomia (oltre alle incompatibilità) si viene, sempre più, affermando. A livello internazionale si sono determinate nuove e più aperte collocazioni. Sul rapporto con i partiti, sul pluralismo, sulla democrazia, sulla difesa della libertà si sono raggiunti validi livelli di intesa. Anche sulle strutture di base e sull'esigenza di costruire le zone sindacali confederali unitarie si sono trovati comuni denominatori.

Tutto ciò, assieme alle lotte, è oggi un patrimonio inestimabile del movimento operaio che permette ragionevolmente di riproporre la realizzazione dell'unità organica entro il 1977.

Anche nel nostro settore si presentano piattaforme unitarie, non si firmano contratti separati, si proclamano scioperi quasi sempre unitariamente, ma rimangono distanze enormi almeno sulle questioni decisive:

  • la Fisba attacca tutta la linea confederale sulle politiche di sviluppo e chiede la tregua sindacale e, coerente con questo disegno cerca di impedire lo sviluppo delle lotte a parte dei braccianti;

  • la Fisba tende a svilire il potere sindacale rifiutando il raccordo tra i problemi connessi all'organizzazione del lavoro, il processo produttivo aziendale e le questioni zonali, di sviluppo più generali;

  • la Fisba mantiene, nel nome dell'identità di categoria, una chiusura, che è deleteria, verso i contadini e anche verso gli operai;

  • la Fisba rifiuta di confrontarsi in un dibattito concreto che coinvolge i lavoratori e rifiuta ogni atto che porti alla costruzione di strutture o strumenti unitari. E' contro l'unità sindacale.

Questo comportamento rischia di emarginare la categoria, fa pagare ai braccianti un prezzo alto, abbassa anche la tensione democratica della categoria e contribuisce a mantenere decine di migliaia di lavoratori, specie al Sud, in uno stato di subordinazione e passività.

Ma le posizioni della Fisba sono sempre più isolate e contraddittorie rispetto a quelle del movimento operaio, della stessa Cisl, della Federazione Cgil, Cisl e Uil. Per questi motivi credo che la tenuta anti-unitaria della Fisba cominci a scricchiolare.

L'unanimità raggiunta dal Consiglio Generale della Fisba, non fa testo. Nel consiglio ha prevalso il settarismo e il patriottismo di organizzazione, il lancio del dibattito tra i soci e nelle strutture sindacali Cisl per l'unità della Cisl contrapposta all'unità sindacale indica l'affanno e il tentativo di recuperare uno spazio che oggettivamente si restringe.

Del resto chi ha letto l'intervento di Sartori, al consiglio della Cisl, sia per il tono, sia per le argomentazioni, sia per le palesi contraddizioni, ha avuto il senso della crescente difficoltà in cui si dibatte la Fisba. L'isolamento, anche se splendido, è sempre isolamento!

In quell'intervento Sartori afferma “oggi siamo di fronte ad una Caporetto sindacale” e pochi giorni dopo abbiamo assistito ad uno sciopero di eccezionale ampiezza.

Ha proposto di aumentare del 20% i salari sotto i 130.000 lire, ha attaccato la vertenza sulla scala mobile per poi sostenere invece in lotte contadine la validità della vertenza bracciantile, collocandola nel quadro di quella confederale.

Non solo, scrive che “decidere per l'unità oggi è decidere per la rottura dell'organizzazione. E' necessario considerare impossibile l'unità sindacale organica nell'attuale fase storica per l'irrimediabile distorsione in senso classista e antidemocratico, impresso al processo unitario”. Mentre dopo qualche giorno, dopo un velenoso intervento in Lotte Agrarie, afferma “NO all'unità sindacale, NO alla scissione della Cisl”. Mentre di tono dimesso e paternalistico è invece la lettera agli attivisti dove la polemica viene sfumata, si indicano impegni di lotta, non si parla di unità sindacale.

Io credo che, di fronte al fatto che il processo di unità sindacale, si sia rimesso in moto, che l'attacco degli anti-unitari, sempre più forsennato, sia meno coerente, che al di là degli umori della Fisba abbia difficoltà di tenuta, sia necessario dare il là ad una grande offensiva sul tema dell'unità.

Perciò devono crescere il dibattito, il confronto, le lotte.

Dobbiamo porci l'obiettivo di partecipare al dibattito deciso dalle confederazioni e nel dibattito coinvolgere i braccianti. Non si può rischiare che la nostra categoria, che significa poi larga parte del Mezzogiorno, venga esclusa. Con la Cgil e le Camere Confederali del Lavoro dobbiamo esaminare questo problema.

Penso anche che, di fronte alla scelta della Fisba di aprire un dibattito interno, vada formalizzata una nostra proposta affinchè, sul tema dell'unità, sulle diverse posizioni, il dibattito abbia un carattere aperto, superi gli steccati di organizzazione, investa tutta la categoria.

Comunque, in qualche modo dobbiamo far circolare nella base della Fisba e della Uisba le questioni connesse al processo unitario tenendo conto che all'interno della Fisba si esprimono nel concreto posizioni diverse: quasi il 30% delle province ha partecipato allo sciopero, disertato e attaccato dalla Fsba, dell'8 novembre.

Sempre più frequenti sono piattaforme e documenti regionali e provinciali sulle politiche, sui rapporti con gli operai e con i contadini, in netto contrasto con le scelte della Fisba nazionale. Qualche esperienza l'abbiamo anche nei delegati (loro elezione), uso delle assemblee (unitarie), partecipazione ai consigli di Zona, ecc.

Queste diversità vanno valutate, devono crescere, fare politica.

E' certo che il punto più alto di unità, anche in metà delle province e regioni, non è stato costituito. Questa unità è più forte dove i braccianti sono più “operai”, meno soggetti alla pratica clientelare, alle mediazioni cui sempre è sottoposto il contadino, dove il rapporto di lavoro è più stabile ed i rapporti di classe sono più chiari.

Per quanto riguarda la Federazione nazionale, Federbraccianti – Fsba – Uisba, è in coma. Si formò su basi arretrate e con una visione diversa della funzione a cui doveva assolvere, vitalizzarla senza un profondo moto di base mi pare difficile, ma dobbiamo, con più tenacia e insistenza, operare per coinvolgere nelle iniziative la Fsba e la Uisba, per farla vivere almeno come sede di confronto. In questo modo si accresceranno le contraddizioni nella Fisba, si renderanno più difficili operazioni scissioniste, maturerà la coscienza unitaria. Bisogna insistere di più per far vivere la Federazione, affinchè certe iniziative (terra, montagna) si svolgano ed oggi divengano unitarie e quando ciò è impossibile e l'iniziativa viene organizzata come Federbraccianti, va resa esplicita, sempre, la responsabilità della mancata unità.

Unità e autonomia organismi. - Non possiamo offrire, nemmeno formalmente, pretesti ed argomenti a tesi che serpeggiano persino in certe Camere del Lavoro e in alcuni sindacati della Cgil, che accumunano Federbraccianti-Fisba-Uisba. Credo perciò che si debba valutare attentamente se non convenga formalizzare la proposta a Fisba e Uisba di organizzare, unitariamente, l'assemblea dei quadri di base che noi intendiamo organizzare a fine febbraio.

Le motivazioni non mancano:

  • l'impegno contrattuale (contingenza, rinnovi contrattuali, sviluppo dell'iniziativa di gestione);

  • la vertenza per le integrazioni previdenziali verso il salario annuo;

  • i problemi di sviluppo (acqua, terra, montagna);

  • il processo di unità sindacale (decisioni confederali, iniziative del consiglio Fisba).

Ma se anche alla conferenza dovremo arrivare da soli, essa deve avere un profondo contenuto unitario. Deve rappresentare in modo nuovo, per imprimere una direzione, un coordinamento anche nazionale al confronto, alla costruzione delle vertenze e della struttura dei delegati, al dibattito sull'unità.

Il punto più debole, comunque, del rapporto unitario è il comune, la Lega. Tutti i contrasti, passati o presenti, sono ancora vivi, la concorrenza è ancora massiccia, il rinnovamento del sindacato è meno profondo, negli altri sindacati ancora meno che nel nostro. I problemi che emergono sono diversi, ne vogliamo citare solo alcuni:

  • è in crisi il rapporto del sindacato con i lavoratori, quindi la partecipazione reale alla vita del sindacato (tornerò su questo argomento)

  • è presente un forte settarismo e debole è l'autonomia reale della Lega.

Il problema dell'autonomia è ancora molto acuto nel meridione, essa non passa solo attraverso incompatibilità, ma attraverso mille canali. I “padrini” - dice Rossitto – sono tanti e le condizioni che permettono questo stato di cose, sono infinite. La prima colpa è della DC, che ha impedito una crescita democratica piena, che mantiene legami clientelari (posto di lavoro), che distribuisce pensioni di invalidità, che controlla i sussidi, i contributi per i contadini, che costringe i braccianti vivere con un reddito, per oltre il 40%, previdenziale.

Non solo, nel Sud, ma al Sud più che altrove, è cresciuto un esercito fatto di faccendieri, di 21 patronati, di notabili legati a uomini politici, a interessi clientelari, ai padroni.

Anche le nostre organizzazioni, per anni, in alcune zone erano, e qualcuna lo è ancora, in mano a faccendieri coperti dalla sigla Inca o Cgil. Stiamo facendo pulizia dei corrotti, di chi pretendeva la tangente sulla pensione o la pratica e questo, a volte, lo paghiamo con gli iscritti.

Ma credo che dobbiamo divenire, fino in fondo, un sindacato pulito, conducendo una lotta decisa per liberarci dalle scorie, per rompere ogni rapporto clientelare e personale, per contribuire a liberare anche gli altri lavoratori dal peso di certe remore.

Ciò presuppone la rivalutazione degli organismi e dello stesso capolega a cui va riconosciuto un giusto compenso. Il “tanto si arrangia” è un argomento che non regge. Se non è tollerabile che si approfitti per bisogno, tanto più lo è in caso di non bisogno.

Ho avuto la possibilità di visitare molte Leghe, oltre 100 nelle ultime settimane e sono rimasto colpito da due fatti:

  1. la mancata conoscenza non solo delle linee rivendicative generali, ma anche delle piattaforme contrattuali per le quali poi si chiede ai lavoratori di scioperare. Ancora, molto di quanto scritto nei contratti, viene ignorato. La nostra organizzazione in certe zone fa solo dell'agitazione generica, sostiene addirittura tesi superate, non è impegnata nella costruzione reale del potere sindacale: la gestione delle conquiste, che è poi il primo modo per dare autonomia al sindacato, non avanza. Tutto ciò disarma i lavoratori, crea sfiducia, li rende meno autonomi e meno capaci di lottare;

  2. sulla Lega, come in una sorta di cassa di risonanza, arrivano i contraccolpi di ogni scontro tra Pci e Psi e all'interno degli stessi partiti. Troppo spesso si giunge a lacerazioni, a piccole scissioni, persino a cambio di sigle sindacali. Certo, a livello di paese, meno mediate e più immediati sono i termini degli scontri e delle polemiche, ma tutto ciò indica che permangono settarismi, confusione sul ruolo del sindacato.

Perciò diventa sempre più urgente operare un forte rinnovamento della Lega, di noi stessi, se vogliamo contribuire ad un rinnovamento anche negli altri sindacati, se vogliamo che il processo di autonomia sia un fatto di crescita della coscienza dei lavoratori, liberatore di grandi forze anche per la battaglia democratica. Modificare, rendere più autonoma la Lega, significa anche contribuire a liberare forze necessarie per l'avanzata del processo unitario.

Noi abbiamo fretta di rinnovare, anche e non dimentichiamo chje il Comune non è la fabbrica e l'agricoltura un polo industriale, ma guai se nel nome di reali ostacoli e arretratezza rimanessimo prigionieri delle difficoltà.

Del resto, anche nelle campagne la situazione è in movimento, come testimonia il dibattito tra i contadini e quello nella Coldiretti.

Nelle campagne, sebbene ci siano bassi livelli culturali, scarsa informazione, c'è oggi una maggiore conoscenza dei grandi fatti nazionali e dei termini del dibattito complessivo. La TV, i figli operai o studenti concorrono a cambiare la mentalità, sono elementi di rottura, accrescono la capacità di critica.

Deve essere chiaro che le linee confederali, il processo unitario, sono vincenti nella misura in cui con il crescere della coscienza, sul disegno generale del sindacato, aumenta anche la capacità reale di far vivere queste scelte nella categoria, nel luogo di lavoro, nella Lega.

Alla luce di queste considerazioni la Conferenza nazionale dei quadri che intendiamo organizzare in febbraio, che precede la riunione dei Consigli Generali Cgil, Cisl, Uil sull'unità sindacale, vogliamo che venga costruita dal basso, concretamente. Vogliamo che sia un momento di grande rinnovamento, di dibattito, di lotta, di crescita dell'autonomia del sindacato. Si tratta di:

  • affrontare la seconda fase di tesseramento per avviarci a superare i 550000 organizzati. I risultati già ottenuti, di cui parleremo fra poco, permettono di poterci ragionevolmente porre questo obiettivo

  • promuovere migliaia di assemblee di aziende e Leghe, di attivi di delegati, di tutte le figure di base, per aprire le vertenze aziendali, censire le terre incolte. Le assemblee dovranno eleggere (sottolineo eleggere) i delegati di azienda in rappresentanza dei lavoratori fissi e avventizi

  • organizzare concrete vertenze a livello di Zona, che sostengano le scelte tese a rinnovare e industrializzare l'agricoltura ed in particolare il recupero delle terre, lo sviluppo della montagna, l'irrigazione. Vertenze che devono divenire di tutto il movimento operaio e contadino.

E' questo un modo concreto per sostenere la vertenza generale confederale e quella specifica categoriale, nonché la battaglia per il rinnovo dei contratti provinciali, la linea della gestione creativa, di partecipare al dibattito sull'unità sindacale.

Alcune scelte di fondo. - La conferenza, nella sua fase preparatoria, deve diventare un grande momento di confronto, di dibattito, di crescita. Se da qui a febbraio 500 mila lavoratori saranno rappresentati da delegati eletti, si apriranno migliaia di vertenze nelle aziende; se avremo dato concretezza a 100/150 vertenze di Zona, se si saranno riunite 100 comunità montane, noi realizzeremo, con la conferenza, un momento di sintesi che ci permetterà di affrontare la primavera e l'estate del 1975 con rinnovata forza e una maggiore capacità di incidere sulla situazione.

Nel corso dell'attuale fase di raccolta delle deleghe 1975, registriamo un travaso di deleghe, che coinvolge tutti i sindacati, ma in modo più marcato la Fisba, la Uisba e i lavoratori non patrocinati. Credo che oltre 30 mila nuovi lavoratori siano già entrati nella Federbraccianti. Rimane però ancora un'area grande di non sindacalizzati, ripeto, oltre 500 mila.

E' questo il momento di un grande recupero (anche di deleghe collegate alla disoccupazione) ma in particolare dei lavoratori stabili attraverso la delega aziendale, di iscrizione al sindacato di nuove figure, cioè degli impiegati, dei tecnici del settore privato e pubblico, di braccianti-contadini, di lavoratrici impegnate nei magazzini e in lavorazioni collegate all'agricoltura.

Uno sforzo eccezionale va fatto nel tesseramento: serve a qualificare la base stessa del sindacato al Nord e al Sud; al Nord con la conquista degli avventizi, al Sud con la conquista dei lavoratori occupati stabilmente. Sarebbe però illusorio pensare che in due mesi, da oggi alla conferenza, si possano dare gambe solide al movimento e strutture adeguate. Possiamo dare comunque slancio al processo già in atto e acquisire altri risultati.

Nessuno, credo, vagheggi la rifondazione del sindacato in agricoltura, prendendo a modello la fabbrica,anche se l'esperienza delle fabbriche ci può insegnare molto. Un'organizzazione come la nostra, che ha una struttura connaturata, anche a una sua storia, non può decidere di voltare pagina e affidarsi alla sperimentazione, alla predicazione, allo spontaneismo. Anche in materia organizzativa, spesso le nostre scelte le caliamo dall'alto, forziamo e anche se è un “centralismo burocratico”, è un centralismo necessario.

A questo punto vorrei trattare alcuni problemi che hanno bisogno di specifiche sottolineature. Mi riferisco al tesseramento, ai delegati, alle zone sindacali, alle nuove figure, alla vita del sindacato. Li affronterò, per comodità di esposizione, in modo separato anche se spesso le argomentazioni si fonderanno.

 

Tesseramento. - sottolineiamo innanzitutto che i risultati ottenuti con la delega della disoccupazione '73, nel '74 (tesseramento '75) sono ancora migliorati. Per il 1974 è giusto sottolineare che i patronati confederali hanno realizzato un aumento di 150000 pratiche circa, di queste 87000 l'Inca. Calano del 5% i non patrocinati. Coloro che perdono la disoccupazione si dimezzano.

Anche se ancora la liquidazione delle deleghe non è complicata, su 1200 domande accolte si hanno questi risultati:

  • Federbraccianti 345000

  • Fisba 267000

  • Uisba 73000

TOTALE 685000

 

Mi si permettano alcune brevi sottolineature: la Fisba ci supera a Sassari, Reggio Calabria, Lecce, Avellino, Viterbo, Palermo, Catania e Caserta.

Pur non avendo ancora potuto fare un esame analitico è chiaro che esiste il fenomeno per la Fisba, che in alcune provincie le deleghe superano le domande patrocinate dall'Inas (Potenza, Sassari e Cosenza).

Al Sud la Fisba ha 240000 deleghe, noi 270000 e questo dovrebbe far riflettere noi e le Camere del Lavoro, non solo sul significato numerico, ma politico e anche su certe nostre istanze. E' vero che i nostri iscritti sono i più attivi ma, comunque, l'ora della verità sulla reale forza numerica dei sindacati è arrivata!

500000 lavoratori non si avvicinano ancora al sindacato. La questione della sindacalizzazione rimane una questione decisiva.

Un giudizio preciso sul tesseramento lo daremo più avanti. Ci pare però sin da or di dover sottolineare il valore dell'impegno comune con l'Inca e le Camere del Lavoro.

I risultati sono migliori là dove più forte è stata la tensione politica, la propaganda, dove nulla è stato lasciato alla spontaneità, dove già nei primi mesi del '74 avevamo costruito strutture e in particolare le Zone, dove le lotte sono state forti: Catania, Bari (sottosalario), Salerno (pomodoro).

L'esperienza, poi, dei moduli prestampati inviati ai lavoratori è da considerare positiva.

L'organizzazione ha retto bene e in tempi più brevi abbiamo fatto il grosso del tesseramento. La dove si sono create difficoltà, sono state di altro genere: strutture inadeguate, impegno solo burocratico o disimpegno, crisi di leghe per problemi di direzione, per questioni politiche extrasindacali, per atti concorrenziali che sono passati attraverso azioni di organizzazioni contadine di sinistra.

Al di la delle polemiche spesso “pidocchiose” credo comunque che l'accordo con l'Alleanza dei Contadini e l'Uci vada considerato sul terreno politico positivo per il fine che si prefiggeva: limitare e annullare la concorrenza.

Alla luce di queste esperienze le proposte per il 1975/76, cioè la prossima campagna di raccolta delle deleghe, potrebbe essere questa:

  • invio dei moduli prestampati (disoccupazione, assegni) a tutti i lavoratori iscritti negli elenchi anagrafici del 1974. Ciò presuppone che l'Inps ottenga dallo Scau gli elenchi

  • nel modulo va incorporata la delega del patronato

  • si tratta di valutare se ripetere la delega sindacale come quest'anno o di prevedere solo la disdetta (anche con foglio taccato) dato che la delega è a tempo indeterminato.

Con questi criteri potremmo concentrare tutta l'attività di raccolta delle deleghe e delle domande in 2, 3 settimane, indicando noi eventualmente all'Inps, i tempi di invio dei moduli. Ciò significherebbe meno burocrazia per le Leghe, quindi possibilità di un maggiore impegno politico. Garanzia che tutti coloro che ne hanno diritto vengano informati.

Per superare, invece, lo scoglio dei collocatori (il cui impegno nella raccolta delle domande si sta ridimensionando), è necessaria una modifica del regolamento del 1955, che ha valore di legge. Credo però, malgrado l'opposizione della Fisba, che sia un obiettivo da perseguire. Come pure va mantenuto aperto il discorso inteso a realizzare l'automatismo del diritto.

Ma se vogliamo veramente riuscire a determinare una crescita politica del sindacato (non dimentichiamo che la maggioranza degli iscritti li facciamo in concomitanza con le domande della disoccupazione), se vogliamo costruire un rapporto più democratico e partecipato nel sindacato, se vogliamo realizzare una piena autonomia, è necessario far crescere la coscienza di centinaia di migliaia di lavoratori. L'autonomia, il sindacato la realizza se elabora le sue linee e iniziative con la partecipazione dei lavoratori, nel momento in cui crea un giusto equilibrio tra i diversi livelli di direzione, quando gestisce fino in fondo le lotte e può confrontarsi con il potere pubblico forte di una linea, puntuale negli obiettivi e sostenuta dalle lotte dei lavoratori.

Di fronte a queste esigenze e a quella di accrescere ulteriormente il potere sindacale nelle aziende e di scegliere definitivamente, come movimento sindacale, il territorio per iniziative sui problemi dell'occupazione, dello sviluppo, degli investimenti civili e di democrazia, per un'avanzata reale del processo unitario, i delegati e i comitati di Zona diventano due anelli decisivi e per molti versi collegati.

 

I delegati di azienda. - Quando parliamo di delegati dobbiamo scontare, nel nostro settore, il mancato, anche se tumultuoso, processo degli anni 1968/70, avvenuto nell'industria. Anzi, malgrado Avola, in quegli anni è prevalso il momento della fabbrica. I delegati, l'assemblea di azienda, sono divenuti patrimonio della categoria, attraverso una spinta “esterna”.

Ciò non toglie che non abbiamo compiuto interessanti esperienze, limitate però dal rifiuto della Fisba di operare unitariamente nella costruzione di una rete di delegati. Impacciati anche da alcune norme contrattuali: un delegato per organizzazione, ad esempio, da difficoltà del mercato del lavoro, specie nel Sud, dalla frantumazione delle aziende, da organici ristretti.

Ci sono però anche nostri ritardi. La scelta fino in fondo dell'azienda, come base dello scontro di classe nelle campagne non è stata ancora fatta o non è una scelta di cui sia convinta tutta l'organizzazione. Continuiamo a oscillare tra momento aziendale e momento generale, tra obiettivi aziendali e obiettivi generali.

La gestione, che è un tipico problema aziendale, avanza lentamente. La scelta dell'azienda è una scelta necessaria, valida al Nord come al Sud, senza la quale noi rischiamo di fare solo della propaganda. I conti con il nemico di classe si cominciano a fare in quella sede, la demarcazione sulle finalità dello sviluppo, iniziamo a farla nell'azienda, l'unità dei lavoratori si può costruire meglio a questo livello.

Il delegato aziendale è l'agente contrattuale dei lavoratori dell'azienda, dei fissi, degli avventizi e anche dei migranti, quindi espressione di tutti i lavoratori. Alcuni fatti ci permettono di compiere un grande balzo avanti in questa direzione:

  1. con la fase lavorativa, per periodi sempre più lunghi, anche i lavoratori stagionali rimangono nella stessa azienda;

  2. con il lavoro a tempo indeterminato e l'aumento dei centocinquantunisti, almeno 400/500000 lavoratori sono ormai stabilmente occupati nelle stesse aziende

  3. le aziende sono estese anche al Sud, ormai le abbiamo individuate, si tratta per lo meno di non dimenticarci di quelle visitate da Diana con l'operazione cancelli aperti.

Il delegato è poi una figura nuova, che deve contribuire a rompere la delega di tutta la politica sindacale alla Lega o al capolega, ad unire meglio le questioni aziendali e quelle più complessive, generali e territoriali.

Permangono difficoltà nel definire il rapporto tra delegati, membri di commissioni di collocamento e contrattuali, con la Lega e la Zona sindacale; queste si risolvono non in termini burocratici, ma con l'esperienza e il superamento di schematismi e burocratismi.

L'ultimo patto nazionale è ancora più i contratti che stiamo rinnovando contengono perfezionamenti, specie per quanto riguarda le commissioni contrattuali zonali che aiutano a determinare una crescita del potere reale del sindacato nell'azienda fuori.

Ma il punto primo per affrontare o riaffrontare la questione dei delegati è di stabilire chiaramente che il delegato è l'agente contrattuale aziendale, che la contrattazione aziendale è unica per fissi e avventizi, che il delegato o i delegati rappresentano tutti i lavoratori.

Le sedi dove avviene l'elezione hanno una secondaria importanza, anche se l'azienda ne è la sede naturale.

E' mia opinione che all'elezione del delegato si debba tendere a farvi partecipare tutti i lavoratori. Con questa visione vanno estese le esperienze dei delegati di gruppi di disoccupati, di pullman, di stagionali, ma anche queste figure (altrimenti diventano un'altra cosa) vanno viste in funzione dell'iniziativa in una o più aziende.

L'allargamento della rete dei delegati passa attraverso l'elezione di questa figura tra le donne, nel senso che sono la massa meno stabile, più stagionale in agricoltura, che ha una problematica fortemente collegata,oltre all'occupazione, al rispetto dei contratti e della dignità personale, quindi alla contrattazione aziendale.

Io credo che il nostro dibattito debba approfondire questa questione in quanto riteniamo necessario rilanciare i delegati come la struttura di base più democratica e più unitaria del sindacato.

Ci sono anche altri problemi da affrontare: ad esempio occorre porci l'obiettivo, in occasione dei rinnovi contrattuali, di superare l'art. 44, che prevede un delegato per organizzazione, come pure dell'art. 47 che prevede la convocazione dell'assemblea aziendale solo da parte delle rappresentanze sindacali aziendali e ciò, ovviamente, frena l'attività di elezione dei delegati. Ma credo soprattutto che vada spezzata definitivamente la prassi della nomina.

Noi dobbiamo riproporre alla Fisba e alla Uisba l'elezione su scheda bianca o su liste concordate. Comunque i nostri delegati, dobbiamo stabilirlo, vanno eletti almeno ogni due anni e dell'avvenuta elezione va esteso il verbale.

 

La Zona sindacale. - La Zona, credo che sulla necessità politica della costituzione delle Zone sindacali, sul fatto che devono assolvere ad un ruolo politico di direzione, che su piattaforme di lotta zonali precise, devono costruire un confronto, delle alleanze, non ci siano dubbi. Anche il perfezionamento avvenuto con il rinnovo del patto nazionale, delle norme sulle commissioni contrattuali, che sempre più vengono precisando campi di intervento del sindacato, su problemi di gestione, ma anche su questioni di sviluppo (piani colturali, ristrutturazioni aziendali, occupazione, ecc.) danno più possibilità alla Zona sindacale di esercitare un ruolo.

Abbiamo costituito le Zone (ci sono ancora dei completamenti da fare) ma sentiamo che non sono decollate. Che cosa lo impedisce?

Innanzitutto le Zone non sono unitarie e questa è una remora pesante. In secondo luogo le strutture orizzontali ed anche importanti sindacati di categoria non hanno ancora fatto questa scelta. In terzo luogo, fino a qualche mese fa, molti obiettivi erano generici. Oggi però l'articolazione zonale ha dei suoi precisi collegamenti nazionali su alcuni temi: terra, irrigazione, montagna, ecc.

Sul problema delle Zone, i metalmeccanici, ad esempio, nel convegno di Bellaria del 28/30 novembre, sostengono con forza che “sono da combattere quelle ipotesi secondo le quali per fare i comitati di Zona bisogna prima rafforzare le strutture di organizzazione a livello di Zona o” peggio ancora “crearle laddove non esistono”. Non solo, chiedono che la Federazione Cgil, Cisl,Uil elabori un piano di costruzione di Zone su tutto il territorio nazionale, ma quello che rende velleitario (la Federazione Cgil, Cisl, Uil aveva già deciso in febbraio di avanzare nella costruzione delle Zone) è la richiesta ( in se giusta) che la nuova struttura di Zona nasca unificando le sedi, i mezzi, gli uomini. Chiedono poi che siano previsti meccanismi elettorali che garantiscano nella Zona la prevalenza di rappresentanti eletti direttamente dai comitati di fabbrica.

Della scelta dei metalmeccanici io credo bisogna cogliere il dato politico, anche se un confronto si rende necessario se vogliono avviare e non delegare (e nell'attesa non fare nulla) il processo di costruzione delle Zone sindacali.

Mi pare, invece, che la riunione della Cgil ad Ariccia del 18/19 novembre più realisticamente abbia sottolineato positivamente l'esigenza di andare avanti comunque verso le Zone,consapevoli che occorre rompere le resistenze che si annidano anche dentro la Cgil. Il convegno sulle strutture, deciso dalla Cgil per il 15/16 gennaio sarà certamente un'occasione di confronto e mi auguro di svolta.

E' un processo questo che deve andare avanti sulla linea indicata dal congresso della Cgil, senza contrapposizioni tra vecchie e nuove strutture. Non solo, ma nemmeno tra le Zone categoriali (unitarie e non) e quelle confederali.

Per noi braccianti che non abbiamo la fabbrica che aggrega, rimarrà sempre l'esigenza di una struttura a livello di territorio. Deve essere chiaro che il rilancio dei comitati di Zona avviene con l'iniziativa e sull'iniziativa, su obiettivi.

Anche per noi ci sono problemi di perfezionamento, di raccordo tra delegati e Zona, tra Zona e comitati regionali, ma sono secondari. Credo invece che dobbiamo farci promotori, specie al Sud, di un'iniziativa che spinga a sperimentazioni zonali unitarie con tutte le forze sindacali che ci stanno (edili, industria, ecc.) forzando per coinvolgere nel processo la Fisba. La Zona non è un fatto organizzativo, ma la conquista di un terreno nuovo di iniziativa articolata e unitaria. Non solo, con la Zona si tende alla costruzione di un tessuto unitario, di base, che anche per i lavoratori va conquistato. La resistenza di certe organizzazioni, la difesa dell'identità di organizzazione, hanno ragioni politiche, storiche, ma anche di bottega. Però preoccupazioni sono diffuse persino tra i lavoratori che temono di dover pagare un prezzo (specie nelle aree agricole del Sud) all'industria, ai settori più foti. Queste resistenze vanno vinte.

Il dibattito sulle Zone è aperto e attinge da quello sul processo di unità sindacale, dalle vertenze per la contingenza, le pensioni e un nuovo impulso per lo sviluppo.

Non si tratta allora di trovare la “formula magica”, di delegare alle confederazioni, di stabilire dei regolamenti rigidi, ma di essere promotori di un eccezionale rilancio di questa struttura, senza chiusure categoriali, ma anzi, lo ripeto, aperti sollecitatori di esperienze unitarie. Questo vale, in primo luogo, per il Sud, ma anche per molte zone dell'Italia centrale e nell'entroterra delle città industriali.

 

Le nuove figure. - Da almeno due anni ne parliamo nelle riunioni, negli organismi. Nell'ultimo CD abbiamo sottolineato che cresce il numero delle aziende moderne, che pur con grande lentezza e difficoltà avanzano processi agro-industriali, che sono in aumento i lavoratori più stabilmente occupati nelle aziende.

Le iniziative ultime (terra, irrigazione, montagna), suscitano grande interesse in ambienti considerati a lungo come nemici, ridanno anche fiducia e dignità agli impiegati, ai lavoratori della ricerca, alle stesse guardie forestali. Credo che in un certo numero di giovani e donne, di piccoli contadini, avanzi la fiducia, se non ancora la convinzione, di poter assolvere un ruolo in agricoltura e di potervi trovare dignità, soddisfazione, oltre che reddito.

La Federbraccianti non è mai stata vittima del corporativismo, anche se è stata condizionata dai grandi e elementari bisogni della categoria che hanno imposto di organizzare lotte che nei fatti emarginavano certi gruppi di lavoratori, affrontando il problema delle nuove figure. Ci poniamo l'obiettivo di accrescere ancora la testa della categoria, i 400/500 mila stabili per trascinare avanti e meglio tutta la categoria.

Per raggiungere questo scopo dobbiamo uscire dal generico e dall'esortazione, nel senso che occorre cogliere anche lo specifico di queste figure e questo non è un problema organizzativo.

Nel nostro sindacato ormai si sono delineati due comparti, uno pubblico (bonifiche, forestali, allevatori, cellulosa, ricerca, ecc.) ed uno privato (operai, vivaisti, impiegati privati, delle cooperative, dei consorzi agrari, lavoratrici dei magazzini per la prima lavorazione dei prodotti, ecc.).

Siamo però impreparati a far fronte alle precise articolazioni che si evidenziano in ogni comparto, ad esercitare una precisa direzione nazionale. Occorrono approfondimenti contrattuali e specie per gli impiegati superare anche assurde discriminazioni.

Inoltre ci sono nodi organizzativi da sciogliere con la Cgil per le tabacchine, gli agrumari, le ortofrutticole e ciò diventa sempre più urgente anche di fronte a una ridefinizione della posizione assicurativa di questi lavoratori. Ma senza insistere oltre credo che molto dipenda dalla Federbraccianti, con il NI non si fa politica.

Chiaramente, le tabacchine, le ortofrutticole, ecc. dobbiamo organizzarle o no? Dobbiamo organizzarle anche se ciò impone modifiche alla Federbraccianti (anche arricchimenti di linea sindacale) al centro e in periferia.

Per quanto riguarda la massa delle donne: abbiamo fatto una scelta precisa di cui i convegni, le iniziative, le lotte sono il segno. Questa scelta vale anche per il rinnovamento sull'organizzazione.

Sentiamo però difficoltà nel dare continuità all'iniziativa verso le lavoratrici, come pure esigenza di approfondimenti. Rimangono decisivi gli obiettivi del salario, della qualifica, delle 151 giornate, dei servizi sociali, ma esaminando più a fondo la realtà del mercato del lavoro, sentiamo che dobbiamo poter specificare meglio gli obiettivi contrattuali, specie nelle attività più industriali. Due esempi:

  1. nelle serre più che altrove c'è un problema della salute;

  2. nei magazzini ormai si opera con le macchine, selezionatrici, sul nastro.

Sono problemi di ritmi, di qualifiche, di salute. Rispondiamo (ho fatto solo due esempi) nel concreto, nello specifico, oppure non andiamo avanti!

 

La massa dei braccianti-contadini. - Stamno mutando in parte la loro natura nel senso che il loro ruolo come produttori viene esaltato, mentre, anche nei piccoli appezzamenti crescono gli investimenti di capitali, macchine, concime, serre, ecc.

Intanto ci sono i problemi anche qui contrattuali: non c'è il solo rapporto colonico, ma le mezzadrie spurie, le compartecipazioni, le affittanze. Ci sono poi problemi tipici del produttore:

domande di integrazione, carburante agevolato, credito, mutui, ecc. nonché i problemi del mercato e della collocazione del prodotto.

A queste figure occorre dare una risposta complessiva, contrattuale, assistenziale, associativa. O facciamo questa scelta e ci mettiamo in grado di rispondere positivamente oppure il rapporto con questi lavoratori si affievolirà e si logorerà ulteriormente. La risposta investe tutte le istanze dell'organizzazione, ma in primo luogo la Federbraccianti Nazionale.

Io credo che il rafforzamento e il rinnovamento del sindacato nelle campagne sia fortemente legato al modo di come sappiamo affrontare i problemi delle figure nuove, delle donne, dei braccianti-contadini, in termini rivendicativi, politici e organizzativi.

Mi pare di poter affermare che i filoni per un ulteriore sviluppo del sindacato, gli strumenti su cui fondare il rinnovamento e il rafforzamento del sindacato, li abbiamo individuati e vanno portati avanti. A questo processo vanno associati i lavoratori che devono divenirne protagonisti.

 

Più protagonisti i lavoratori. - Nella nostra categoria i lavoratori decidono quasi mai. Non decidono sulle iniziative nazionali, sulle piattaforme provinciali, sui tempi e le forme di lotta, sulla conclusione dei contratti. La consultazione non è ancora una norma. Ma anche i direttivi contano poco. Sempre meno si discutono i bilanci, sempre più si gestisce il sindacato dall'alto verso il basso. Non vogliamo negare che qua e là ci siano anche positive esperienze, in certe provincie i delegati contano, in certe Leghe e provincie il CD esercita una funzione. Ci sono anche quadri che si stanno affermando, gruppi dirigenti che crescono, però sentiamo che la democrazia vera non si afferma. Quando penso alla vergogna di certe casse di assistenza provinciali dove ai lavoratori, di fatto, non si da nulla, mi domando se allo scadimento della democrazia non concorriamo anche noi.

Ancora c'è qualche cosa, nel modo di dirigere, che crea dei diaframmi: una vischiosità, lo sfiancamento dei tempi di lotta, lentezza che porta ognuno a decidere per conto proprio senza un minimo di disciplina. Sul modo di dirigere una riflessione va fatta da tutti, a cominciare dalla segreteria nazionale.

Un grande processo di crescita dei quadri e di sviluppo della democrazia va alimentato e guidato. Credo che la scelta dell'elezione e della estensione dei delegati vada in questa direzione, come pure quella delle Zone.

Su questa linea l'assemblea di azienda e di Lega, la consultazione, l'assemblea dei delegati e dei membri delle commissioni, la riunione frequente dei direttivi, la discussione dei bilanci, il rinnovo delle cariche, devono diventare la costante di tutta l'organizzazione, per la sua autonomia, la sua crescita democratica.

Per alimentare questo processo un grande ruolo è esercitato dalla formazione e dall'informazione. Si tratta perciò di riconfermare la scelta della diffusione di “Lotte Agrarie” fra tutti gli attivisti di base e provinciali, di estendere l'esperienza dei giornali provinciali fatta a Lecce, Catanzaro, Brindisi. Di dare, da gennaio, attuazione alla decisione del CD di pubblicare un'agenzia di stampa quindicinale da diffondere all'esterno della categoria e da inviare alle Zone, alle Leghe più importanti, alle Federazioni provinciali e regionali.

Per la formazione sindacale non avanziamo risposte, chiediamo solo una riflessione critica sul perchè non riusciamo a dare continuità e a organizzare un'attività di formazione centrale e periferica. Voglio solo osservare che oggi, di fronte ai dati economici e politici, alle scelte puntuali e attuali del sindacato, alla crescita organizzativa è indispensabile costruire un sistema di formazione complessivo: temi, livelli, ecc.

Per la formazione dovremo andare forse a una specifica discussione. E' un punto morto da superare. Come pure, più complessivamente alcune riflessioni vanno fatte in sede regionale o in alcune aree, o su problemi particolari. Per esempio è da affrontare la presenza del sindacato nell'arco alpino. E' da approfondire tutto il problema cooperativo e associativo, è da riesaminare tutta la situazione padana.

Credo che materia di discussione per un dibattito libero da ogni preoccupazione (di forma e di tattica) ci sia. Il carattere di questa riunione, che chiamiamo di lavoro, nulla toglie al valore delle conclusioni a cui giungerà. Valore per la Federbraccianti, per il dibattito confederale, per il nostro CC, per l'assemblea nazionale dei quadri.

 

Data documento: 
Giovedì, 12 Dicembre 1974
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